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Yaraki non segue le regole

A tu per tu con Yaraki, che ci racconta come la musica sia sempre stata una costante nella sua vita, un mezzo naturale per elaborare e ricordare chi è stata e chi diventerà

Cresciuta nella periferia di Milano, con radici che affondano nella sua eredità brasiliana, Yaraki ha trovato un modo unico di tradurre le sue emozioni e il suo vissuto in canzoni che non solo raccontano la sua storia, ma riescono a parlare a un pubblico molto più vasto. In un mondo dove spesso ci si nasconde dietro maschere, lei sceglie di mostrarsi vulnerabile, rivelando le difficoltà, le vittorie e le sfide affrontate lungo il cammino. La raggiungiamo alla vigilia della pubblicazione di Piazza Samba, il suo primo progetto in studio, per parlare di evoluzione, di come ha trovato la sua voce tra le influenze culturali e personali, e di come la vulnerabilità sia diventata non solo una parte integrante della sua arte, ma anche una forma di coraggio. Ci racconta come la musica sia sempre stata una costante nella sua vita, un mezzo naturale per elaborare e ricordare chi è stata e chi diventerà.

Cosa ti ha spinto a raccontare la tua storia attraverso la musica?
Sono cresciuta in una famiglia in cui ci si raccontava tutto e ho sempre avuto un’attrazione molto forte nei confronti della musica quindi per me è sempre è stato naturale. Mi piaceva l’idea di riuscire a raccontare la mia vita dandole un carattere musicale e armonico e così ho cominciato a rendere gli episodi della vita quotidiana una canzone, per elaborare e ricordare quello che sono e quello che sarò .

C’è un momento specifico che ti ha fatto decidere?
Non c’è nessun momento in particolare, ero semplicemente circondata dai miei amici più grandi che lo facevano e un giorno ho deciso di cominciare a farlo anche io visto che già cantavo.

Come ti senti quando guardi indietro alla tua vita nella periferia di Milano?
Mi sento in fase di elaborazione perché mi fa strano pensare che, per quanto io sia cambiata, le vie in cui vivo sono ancora le stesse. Ho certi ricordi così lontani che mi sembrano vissuti da qualcun altro ma il fatto che siano sempre nello stesso luogo mi confermano che in realtà sono sempre stata io. La mia formazione e il mio modo di vedere il Mondo è il frutto di dove ho vissuto, e la mia visione del Mondo è figlia del contesto in cui sono cresciuta, non facile ma vero.

Quali emozioni emergono?
Mi sento fortunata perché sono a conoscenza di dinamiche che un privilegiato non ha mai vissuto e che però servono per sopravvivere. Allo stesso tempo mi sento fortunata perché vivo in una parte del Mondo in cui posso pensare senza essere giudicata.

Hai mai avuto paura di essere vulnerabile nelle tue canzoni?
Quasi sempre, soprattutto perché nessuno si è mai fatto problemi a criticarle. Ma soprattutto perché quello che scrivo appartiene a quello che vivo ed è sempre un racconto personale, anche se parlo di una mia visione del mondo, quindi è inevitabile sentirsi vulnerabili, allo stesso tempo mostrarsi, secondo me, vuol dire anche essere coraggiosi. La mia voglia di esprimermi va oltre a quello che possono pensare gli altri.

Quale brano di Piazza Samba ti rappresenta di più?
Senza confini, perché io sono in continua osservazione del Mondo ed è il brano in cui sento di raccontarlo meglio, in cui non parlo solo per me ma anche per gli altri.

Raccontami di più.
Senza confini è figlia di un mio periodo molto impegnativo perché non avevo mai lavorato e in quel periodo avevo cominciato a farlo. Non avevo altra via d’uscita, se non con l’affetto, non c’erano altri modi in cui le persone potessero aiutarmi e quindi ho scoperto che ero capace di fare cose che neanche immaginavo, ho visto quanto il lavoro coinvolge la vita delle persone e quanto per questo sono importanti momenti di pausa e di libertà.

Che ruolo ha avuto la tua eredità culturale brasiliana nel definire il tuo sound?
La mia eredità genetica per quanto riguarda la parte brasiliana è stata la mia fortuna degli ultimi tre anni perché non mi ero mai chiesta davvero cosa vuol dire sentire il ritmo nel sangue e invece iniziare questa ricerca musicale mi ha fatto scoprire di più chi sono. Il mio venticinque per cento brasiliano è sovrastante non solo nella mia estetica ma anche nella mia musica.

⁠Se potessi parlare con la tua versione più giovane, cosa le diresti riguardo al percorso che hai intrapreso?
Forse è la mia versione più giovane che mi ha insegnato tanto, al massimo le direi che sono proprio chi vorrebbe che io sia.

Quando componi, c’è un pensiero ricorrente che ti guida un mantra personale?
Mentre scrivo ho solo fede in me.