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Lazza: «Raramente il successo viene perdonato»

Lazza è tornato ad essere felice e nel nuovo disco, “Locura”, dialoga con la fama, in un equilibrio sottile tra follia e coraggio. «Non ci sono concessi scivoloni, crescendo questo pesa sempre di più»

Mentre ci apprestiamo a terminare l’ennesima Fashion Week di quest’anno, con Milano invasa in ogni angolo, Locura arriva a prendersi la scena. Nonostante il mercato musicale sia saturo, c’è chi tenta di fare musica che vada oltre gli streams, cercando sempre di rinnovarsi disco dopo disco, anche quando col precedente sei sul punto di certificare il primo disco di diamante in Italia. Con queste premesse, la sfida Lazza è titanica, come affrontare un’orda di tori che si aggirano per le vie della città. Eppure, le tappe di avvicinamento sono state trionfali: dal primo Sanremo, in cui ha conquistato il pubblico con Cenere («Mi sta davvero uscendo dalle orecchie. Capisci di aver fatto una hit quando diventa una parodia: su internet la trovate cantata persino con la voce di Gerry Scotti», mi dice, all’ultimo piano dell’Audemars Piguet House Milan), per finire con 100 messaggi, ballad da quasi cento milioni di riproduzioni su Spotify. E poi Locura: Opera N.1, uno show ai piedi di San Siro con orchestra che ha letteralmente aperto le porte alla Locura-Era. Locura è un disco nato in viaggio. Perché per la prima volta l’amata Milano, che ha cresciuto in tutti i sensi Jacopo, non è riuscita a stimolarlo abbastanza. Tanto che il disco nasce sulla rotta verso gli Stati Uniti: «Viaggiare mi ha fatto bene, mi ha continuamente dato idee e spunti nuovi, cosa che lo stare a Milano ed in Italia non era riuscito a fare. Non me lo aspettavo. Poi entrare nello studio di Cash Money Records… sembravo un bambino nel negozio di caramelle».

New York, Miami, Los Angeles. Una varietà che poi si rispecchia all’interno del disco, soprattutto nelle sonorità. Senza voler però ricopiare Sirio. «Venivo da un disco che, vuoi o non vuoi, ha fatto dei numeri enormi. Locura è stato un disco complesso, difficile. Volevo uscire da quella cosa lì, senza pensare ai numeri con cui gioco forza molti lo avrebbero paragonato: volevo fare un disco che restasse nel tempo, sia per la musica sia per l’immaginario grafico. Ho cercato di mettere testa in tutto». A tutti gli effetti, Locura è un equilibrio sottile tra follia e coraggio. Se cercate il termine “locura” su internet, la prima reference che esce è “pazzia”. Ma folle sarebbe stato, appunto, voler replicare un qualcosa che è già stato fatto. Sirio resta lì, a macinare numeri ed ad avvicinarsi ogni giorno di più ad un traguardo storico. Lazza però ha scelto di andare avanti, cercando nel mic un veicolo per esternare sentimenti complessi. «Questo disco per me è pieno di significati, ci sono tante cose che mi premeva dire, non trovando magari la forza, la chiave di volta per esprimerle. Al primo ascolto molti pezzi possono sembrare d’amore, ma in chiave negativa. In realtà però è come se io stia avendo una sorta di dialogo con la fama, e le chieda semplicemente perché? Perché, di base, raramente il successo viene perdonato, come rappava Guè in All’ultimo respiro dei Club Dogo (“Io non voglio la fama per poi essere odiato/Il successo raramente viene perdonato”, ndr.). Non ci sono concessi scivoloni, non posso esprimere le mie unpopular opinion, e crescendo questa cosa mi pesa sempre di più».

Lazza, foto di Bogdan Plakov

Sulle diciotto tracce troviamo otto featuring, alcuni presumibili (citando il classico commento da social) altri inaspettati. Eh sì, perché Lazza con Laura Pausini era una frase che poteva uscire da un multiverso estremamente fantasioso. Ed invece eccolo lì, prima traccia del disco, Laura apre le porte dell’arena citando un pezzo spagnolo (Una locura di Josè Luis Perales e no, non è un plagio come molti hanno scritto in questi ultimi giorni, ma una citazione voluta e accreditata). Insomma, in Zeri in più (Locura) è Laura Pausini ad entrare nel mondo di Jacopo, non il contrario come potevamo magari aspettarci. Ghali è un altro di quei nomi che sorprendente abbastanza da leggere nella tracklist: «Ci conosciamo da quindici anni, bazzicavamo entrambi i centri sociali, andavamo a fare freestyle. Dopo tutto sto tempo ci siamo detti che era il momento di chiuderci in studio. Sono molto fan di quel pezzo (Ghetto Superstar ndr.), spero vada benissimo. Ma lo spero di tutti i pezzi. Con Sfera Ebbasta e Guè si è cercato di fare qualcosa di diverso rispetto ai pezzi precedenti. Lil Baby (presente in Canzone d’odio) è tre anni che monopolizza il mio Wrapped Spotify di fine anno, sono felicissimo di averlo sul disco. Poi ho coinvolto due giovani come Artie 5ive e Kid Yugi: sono due artisti che hanno dei segni particolari, l’attitude di Artie 5ive e la penna di Kid Yugi, che fa il culo a molti rapper, attuali e di vecchia data».

In Locura c’è più Jacopo, e meno Lazza. Ecco allora che si oltrepassa il confine tra persona e personaggio, è lo stesso Lazza a voler mostrarsi come mai aveva fatto prima. “Tutti conoscono Zzala ma nessuno Jacopo”, rappava nell’intro di J, il mixtape pubblicato in piena pandemia. Adesso però è il momento di svelare anche l’alter ego. Che nel frattempo è cresciuto, sta diventando grande, avrà a breve un figlio. Tanti piccoli tasselli che lo hanno portato, dopo lungo tempo, ad essere felice. «Mi sento più maturo, sto per diventare padre, inizierò il tour che personalmente è la parte che preferisco, scegliere la scaletta, provare. Faccio quello che più mi piace, come potrei non essere contento di ciò?». A proposito di cose che gli piacciono: gli chiedo se, dopo avendo suonato alle porte di San Siro, gli piacerebbe entrarci dalla porta principale. «Sarebbe bello tirarci qualche calcio di rigore (ride, ndr.). La squadra c’è, il mister c’è, il pubblico pure… chi vivrà vedrà», mi risponde. Si prende una pausa. «In realtà non è che manchi qualcosa». Nel frattempo rimettiamo da capo Locura: già il fatto che al giorno d’oggi un disco meriti di essere riascoltato per cogliere tutte le sfumature è un buon segno.

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