Tre anni dopo Madres paralelas, Pedro Almodóvar torna in concorso alla Mostra del cinema di Venezia per presentare il suo primo lungometraggio in lingua inglese, adattando per il grande schermo il romanzo Attraverso la vita di Sigrid Nunez. Il film è incentrato sulle vicende di Martha (Tilda Swinton), malata di un tumore incurabile, che chiede all’amica Ingrid (Julianne Moore) di starle vicino fino al momento in cui deciderà di togliersi la vita. Come è possibile intuire già dalla breve sinossi, il regista spagnolo (qui unico sceneggiatore) affronta con lucidità il tema della morte, rinunciando all’enfasi tipica del mélo e avvalendosi di uno stile rigoroso e minimalista, che non tradisce tuttavia il gusto estetico che lo contraddistingue (evincibile sia dalla raffinatezza dei movimenti di camera, sia soprattutto dagli abbinamenti cromatici di costumi e scenografie). Nel corso dei lunghi dialoghi tra le due protagoniste, Almodóvar sottolinea più volte come il sesso costituisca l’unica arma possibile per combattere la morte.
Nel film però il sesso non c’è mai e la morte vince sempre, anche quando siamo noi a decidere il momento giusto per affrontarla. L’unica sequenza riconducibile al sesso è lasciata non a caso fuori campo, quando in un flashback Martha concepisce la figlia: interessante in tal senso risulta il collegamento con Madres Paralelas, altro titolo mortuario, in cui il concepimento veniva messo in scena con l’indimenticabile sequenza delle tende che si gonfiano come un grembo materno, anticipando allo spettatore la gravidanza (con il sesso sempre fuori campo). Tornando a The Room Next Door, appare opportuno sottolineare l’impianto teatrale dell’opera: l’essenzialità della messa in scena si rivela efficace nell’evidenziare la consapevolezza del tema trattato, ma si dimostra utilissimo anche nel rivolgersi direttamente allo spettatore, costretto a vivere le dinamiche delle due protagoniste poste costantemente in spazi interni e soggette a primi piani potentissimi, che mettono a dura prova la resistenza della quarta parete. A reggere il peso di una sceneggiatura così verbosa e basata sulla forza dei dialoghi non potevano che esserci due grandi attrici, entrambe in lizza per la contesissima Coppa Volpi: Julianne Moore risulta sempre credibile nel vestire i panni dell’amica d’infanzia ritrovata, timorosa della morte e disposta ad affrontarla per solidarietà.
La straordinaria Tilda Swinton, invece, si conferma ancora una volta monumentale nel conferire solidità al suo personaggio principale, riuscendo al contempo ad interpretarne altri (questa volta si cuce addosso anche il ruolo della figlia di Martha). L’unico limite di uno dei film più preziosi di questa Mostra può essere tuttavia rinvenuto nelle analessi: i flashback, vuoi per l’inadeguatezza delle interpretazioni attoriali, vuoi per la debolezza della messa in scena, appaiono decisamente non all’altezza rispetto alle sequenze del piano temporale principale, al punto da chiedersi se fossero davvero fondamentali nell’economia di un film di tale portata. Malgrado ciò, The Room Next Door rappresenta un’opera senile e mortuaria, estremamente raffinata nell’estetica e lucidamente profonda nella sua semantica. Insomma, l’ennesimo grande film di Almodóvar.