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“Babygirl” è una perfetta combinazione di thriller e erotismo

“Babygirl” con Nicole Kidman esplora erotismo e squilibri di potere in una relazione sado-masochista. Halina Reijn evita il dramma, in un’opera provocatoria e moderna, che sfida le convenzioni sui ruoli di genere

Babygirl, tra i titoli più attesi dell’edizione 81 della Mostra del Cinema di Venezia, è il terzo lungometraggio dell’olandese Halina Reijn. Il film, che arriva dopo Bodies Bodies Bodies, horror a tinte Gen Z, sulla carta, è un perfetto thriller a tinte erotiche: la trama vede infatti la protagonista Romy (Nicole Kidman), CEO di una prestigiosa azienda, iniziare una relazione sado-masochista con Samuel interpretato da Harris Dickinson (Triangle of Sadness e The Warrior: The Iron Claw), un giovane stagista, mettendo così a rischio matrimonio e carriera. Romy, che pare ossessionata dalla paura di invecchiare, nasconde da tutta la vita il proprio kink per la sottomissione: nonostante Samuel sia più giovane di circa vent’anni, infatti, il desiderio di Romy è quello di essere la sua babygirl, pronta ad acconsentire a richieste che, al di fuori della dinamica BDSM, appaiono estremamente umilianti.

La relazione tra Romy e Samuel, erotica e affettiva ma non propriamente romantica, è segnata da diversi squilibri di potere, che costituiscono il centro tematico del film. Romy è infatti molto più grande di Samuel, appartiene a un ceto più elevato e ha una posizione decisamente superiore all’interno dell’azienda, mentre Samuel, oltre a essere un uomo e quindi un privilegiato nel sistema patriarcale, ha nella relazione la posizione dominante ed è in grado di ricattare Romy, avendo i mezzi per distruggerle la vita. Intorno a questa relazione si dipanano ulteriori dinamiche di potere, legate al sistema capitalista, a quello patriarcale e, in minor misura, a quello razziale. La posizione di Romy, infatti, è quella di una donna che ha acquisito un forte potere in un ambito tradizionalmente maschile; all’opposto, i suoi gusti sessuali sono riconducibili a uno stereotipo che vede la posizione della donna sottomessa come una mera proiezione della fantasia maschile, senza considerare che le dinamiche BDSM, come in generale i cosiddetti kink, esulano dalla dalla sfera della moralità convenzionalmente intesa.

Nel rapporto tra Romy e Samuel si condensa quindi una guerra dei sessi (o meglio: dei generi) aggiornata al nuovo millennio, in cui una delle domande più importanti è: come si comporteranno le donne, una volta arrivate alle posizioni di potere tradizionalmente occupate dagli uomini? Reijn, nel suo film, pone interrogativi senza offrire risposte univoche, riuscendo quindi a offrire un quadro complesso e realistico, mai retorico o didascalico, dei progressi del femminismo nell’occidente capitalista. La regista ha inoltre la capacità di giocare con i generi cinematografici, mischiando in modo brillante thriller, erotismo e soprattutto commedia. La scelta di evitare il dramma risulta vincente: la sceneggiatura, infatti, non solo si rivela divertentissima, ma evita la prevedibile parabola femminile della caduta sociale, sorprendendo lo spettatore e portando sullo schermo una visione gioiosa, coraggiosa e moderna della sessualità.