È iniziata una nuova era musicale e socio-culturale, capace di conquistare trasversalmente musica, politica, attualità, costumi e tendenze della nostra contemporaneità. La sua fautrice si chiama Charli XCX, all’anagrafe Charlotte Emma Aitchison, una delle cantautrici e produttrici britanniche più eclettiche e meno conformiste del secolo. Lei è la Brat per eccellenza, con la B maiuscola, capostipite di un movimento a suo modo rivoluzionario, che dall’inizio dell’anno ha preso sempre più piede sui social e nelle discoteche a cavallo tra l’Europa e gli Stati Uniti. Brat è anche il titolo sfacciato del suo ultimo disco: un omaggio alla cultura dei rave made-in-UK dei primi anni Duemila. Per l’artista di Cambridge, la genesi, la stesura e la conseguente realizzazione in studio di Brat è stata del tutto inaspettata. Creare un album di questo genere avrebbe potuto essere una mossa rischiosa, a tratti azzardata. Eppure il progetto, prodotto da A.G. Cook e altri nomi di punta come El Guincho, Cirkut, Gesaffelstein e Jon Shave, ha rappresentato una presa di distanza consapevole dal precedente lavoro – Crash – definito dalla stessa Charlotte una rappresentazione della «piattezza al sapore di vaniglia» che la musica pop incarna. «Non sono nata per fare le battute alla radio», aveva confessato in conversazione con il magazine The Face.
«Non sono affatto così. […] Brat è un disco molto provocatorio e aggressivo. I suoi testi sono una sorta di racconti di vita che manderei ai miei amici. Lo considero piuttosto brutale». Eppure, fin dalla sua uscita, l’album ha debuttato al numero tre della classifica Billboard 200, diventando immediatamente anche il suo disco più venduto negli Stati Uniti e lanciando il fenomeno della Brat Summer, figlia di quella hot girl summer tanto popolare su TikTok durante il 2023. Per comprendere questo fenomeno, è necessario fare un passo indietro. L’era di Brat è iniziata a febbraio di quest’anno, quando Charli XCX ha condiviso un frammento della sua Von Dutch su TikTok. La reazione è stata comprensibilmente enorme, a dimostrazione del fatto che la star non si era sbagliata nell’affermare di essere «la vostra numero uno» e «un classico di culto, ma sono ancora pop». Poi è arrivato 360 con il suo corollario di it girls: da Chloë Sevigny e Julia Fox, passando per Rachel Sennott, Gabbriette, Hari Nef e Chloe Cherry (e un cameo dell’executive producer dell’album: A.G. Cook). Alcuni fan e critici hanno finito per paragonarla alla Taylor Swift squad del 2015, quella assetata di vendetta e ricerca della giustizia, ma pur sempre noiosamente perfetta. Essere “brat” – al contrario – vuol dire combattere quel senso dell’estetica e della perfezione tanto idolatrato dai fan della Swift. Significa non seguire le regole, le convenzioni sociali, fregarsene di essere sempre glamour.
Si poteva intuire che Brat sarebbe stato un progetto travolgente già a febbraio, quando l’evento di Charli alla Boiler Room di New York – che ha indubbiamente causato una grande fomo in tutto il mondo e ha visto, tra i tanti, la partecipazione di nomi come Julia Fox, il compagno George Daniel e Addison Rae – aveva battuto il record del maggior numero di richieste di partecipazione.
Mentre il lancio dell’album prendeva sempre più piede, la musicista ha coltivato la matrice rave del disco tenendo dei DJ set a Ibiza e su una spiaggia di Barcellona, poco prima della sua esibizione al noto Primavera Sound. Qualche settimana dopo, è stato il turno del Glastonbury, con tanto di comparsata della diva del dance-pop svedese Robyn e di Romy dei The xx. A marzo Charli aveva svelato l’artwork dell’album: un semplicissimo quadrato verde lime e il titolo in minuscolo, con un carattere Arial totalmente pixelato, dichiarando «misogina e noiosa la costante richiesta di accesso a corpi e volti di donne nell’artwork dei nostri album». Il design dell’album, realizzato da un noto studio newyorkese, era diventato nel giro di poche settimane un vero e proprio meme. Basti pensare che un generatore di immagini le ha permesso di “brattificare” tutti i suoi vecchi dischi sui servizi di streaming.
La sua influenza è trasversale: non è più solamente una questione di musica, di note o beat che si incastrano alla perfezione, di produzioni sporcate o di richiami ad un universo musicale legato quasi esclusivamente ai magazzini e alle party houses americane. Charli XCX è il tassello di un fenomeno di costume che tocca qualsiasi ambito, politica compresa. Kamala Harris, candidata democratica per la corsa alla Casa Bianca, ha incentrato la sua campagna politica sulla frase Kamala IS Brat, ricevendo persino l’endorsement della cantante in vista delle elezioni presidenziali di novembre. Pezzi come B2b, Apple (virale su TikTok), Von Dutch e l’ultimo remix con la collega neozelandese Lorde in Girl, So Confusing, sono stampati nella nostra mente e popolano i nostri social network. Frasi come “Bumpin’ that” e “365 party girl” sono tra le più pronunciate e scritte nei video amatoriali di chi cerca di emulare la vera brat girl per eccellenza, quelle che attraverso l’hyperpop, il danc pop e l’EDM, ha fatto del minimalismo il suo punto di forza. Alla fine della fiera, il principio “Less is more” rimane sempre il più forte e audace.