Poche band, nella storia della musica, sono state in grado di imporsi nell’immaginario collettivo quanto i Pink Floyd. La mucca di Atom Heart Mother, il prisma di The Dark Side of the Moon, la stretta di mano di Wish You Were Here e i mattoni bianchi di The Wall sono immagini che hanno oltrepassato i confini della musica, arrivando a risultare familiari anche a chi, dei Pink Floyd, conosce solo il ritornello di Another Brick in the Wall. Fondati nel 1965 da Roger Waters, Richard Wright, Nick Mason e Syd Barrett, sostituito in seguito da David Gilmour, i Pink Floyd hanno segnato, con la loro musica, un periodo che va dalla fine degli anni Sessanta all’inizio degli anni Novanta.
15. The Endless River
Nel 2014, a vent’anni di distanza da The Division Bell, i Pink Floyd pubblicano un album lunghissimo e poco spiegabile, a cui non bastano diciotto tracce per trovare una direzione. Caratterizzato da sonorità prevalentemente ambient, il disco è stato definito il canto del cigno di Richard Wright, morto nel 2008. Il titolo riprende un verso di High Hopes, la traccia finale del precedente The Division Bell.
14. A Momentary Lapse of Reason
Primo disco pubblicato dopo l’abbandono di Roger Waters, A Momentary Lapse of Reason, più che un nuovo inizio, sembra un ritorno alle sonorità precedenti a The Wall, declinate però in salsa pop anni Ottanta. Un album gradevole, ma sicuramente modesto se paragonato agli antecedenti.
13. Ummagumma
Album ibrido e sperimentale, il cui primo lato consiste in una raccolta di live di brani precedenti. Il secondo lato, registrato in studio, è certamente ben eseguito, ma la ricerca musicale alla base risulta confusa e nel complesso poco interessante. Definito dagli stessi Pink Floyd un esperimento mal riuscito, Ummagumma si distingue per la meravigliosa copertina, frutto della storica collaborazione della band con lo studio Hipgnosis.
12. Obscured by Clouds
Colonna sonora del film La Vallée, Obscured by Clouds, nonostante sia di per sé un ottimo lavoro, scompare se confrontato al precedente Meddle e al successivo The Dark Side of the Moon. Un passo laterale del gruppo, comunque da riscoprire per la presenza di canzoni come Wot’s… Uh the Deal e la beatlesiana Free Four.
11. A Saucerful of Secrets
Secondo album della band e primo con in formazione David Gilmour, che contribuisce ad allontanare il gruppo dalle sonorità rock di The Piper at the Gates of Dawn per avvicinarlo a una psichedelia più meditativa. Un lavoro forse d’impatto contenuto, ma seminale per la produzione a venire.
10. More
L’altra colonna sonora firmata dal gruppo è anche il primo disco realizzato senza Syd Barrett, allontanatosi dal progetto in seguito al deterioramento del suo stato psicofisico. Composto per il film omonimo diretto da Barbet Schroeder (autore anche di La Vallèe), More è un album da ricordare per la comparsa di elementi sonori che caratterizzeranno la successiva produzione della band – la splendida Green is the Colour, per esempio, inaugura la fortunata serie di ballate acustiche del gruppo.
9. The Final Cut
Incentrato sulla tragica vicenda del padre di Roger Waters, morto durante la Seconda Guerra mondiale, The Final Cut è di fatto un album solista, tanto che sul retro della copertina reca la scritta “by Roger Waters, performed by Pink Floyd”. Nonostante l’alta qualità dei singoli brani, l’album risulta nel complesso eccessivamente personalistico e piuttosto ripetitivo, soprattutto se paragonato al precedente The Wall.
8. The Division Bell
Il penultimo album del gruppo, nonostante concessioni al commerciale impensabili negli anni Settanta, è decisamente il miglior risultato raggiunto da Gilmour e compagni dopo l’abbandono di Roger Waters: l’afflato lirico di molti brani – su tutti la splendida High Hopes – ricorda le atmosfere di Wish You Were Here, aggiornate però a una sensibilità più moderna e in linea con i gusti degli ascoltatori degli anni Novanta.
7. The Piper at the Gates of Dawn
Disco d’esordio del gruppo, estremamente influenzato dai Beatles e più in generale dal rock psichedelico di fine anni Sessanta. La band, negli album a venire, prenderà una direzione diversa, decisamente più autonoma e interessante, ma il debutto rimane un album importantissimo in quanto testimone della visione artistica di Syd Barrett, all’epoca leader e principale sperimentatore del gruppo.
6. Animals
Ispirato a La fattoria degli animali di Orwell, Animals è uno degli album più politici del gruppo, che torna, dopo Wish You Were Here, a condannare l’ipocrisia del mercato discografico. In questo album, Roger Waters inizia a prendere il controllo della band, traghettandola verso un sound più cupo e vicino ai generi in voga a fine anni Settanta. Grazie soprattutto alla meravigliosa Dogs, Animals rientra a pieno titolo tra gli album più belli del gruppo, nonostante abbia un’importanza minore rispetto al successivo The Wall.
5. Atom Heart Mother
Atom Heart Mother è il primo capolavoro dei Pink Floyd, un album seminale che darà il via alla stagione più creativa, geniale e unica della loro produzione. Amato da Kubrick – l’iconica copertina è anche visibile in una scena di Arancia meccanica – e realizzato con il contributo di Alan Parsons, a cui è dedicata l’avanguardistica Alan’s Psychedelic Breakfast, il disco si apre con una title track di oltre ventitré minuti, la prima delle suite che contribuiranno a fare la fortuna della band.
4. The Wall
Oltre a rientrare a pieno titolo tra i principali capolavori del gruppo, The Wall è in assoluto uno degli album più iconici della storia della musica, se non addirittura una delle opere d’arte più significative della seconda metà del Novecento. Il Muro, immagine e simbolo di incomunicabilità, alienazione e isolamento, riflette la situazione geopolitica del periodo della Guerra fredda, ma è soprattutto la metafora di un trauma generazionale che, alla fine degli anni Settanta, nuovi generi come il punk iniziavano ad esternare. Il tema principale dell’album, completamente dominato dalla personalità di Waters, è la riflessione sulla figura della rockstar, narciso solipsista in preda alle dipendenze e strumento ormai impotenete dell’industria musicale, che trasforma gli ascoltatori in un esercito di consumatori.
3. Meddle
Il sesto album dei Pink Floyd, per quanto sia attualmente meno celebre di opere successive come The Dark Side of the Moon o The Wall, merita di essere annoverato tra i maggiori capolavori della band. In sole sei tracce, il gruppo riesce a spaziare dall’avanguardistico rock sperimentale di One of These Days al blues di Seamus (“cantata” addirittura da un cane), mantenendo comunque una forte unità stilistica. L’idea della suite rock iniziata in Atom Heart Mother continua con l’eclettica Echoes, che occupa tutto il secondo lato del disco.
2. The Dark Side of the Moon
Iconico come la sua celeberrima copertina, The Dark Side of the Moon è senza dubbio uno dei dischi più importanti della storia del rock: il concetto della suite si espande all’intero album, le cui tracce, dissolvendosi l’una nell’altra, accompagnano l’ascoltatore in un viaggio all’interno di una psiche traumatizzata. L’eclettismo della band si esprime al massimo grado, senza però compromettere la coerenza dell’opera, che scorre effettivamente come un’unica, lunghissima e ipnotica suite. Un’opera fondamentale, in cui convivono le migliori suggestioni del rock psichedelico anni Sessanta e, con quasi un decennio di anticipo, le sonorità elettroniche che caratterizzeranno gli anni Ottanta.
1. Wish You Were Here
Nelle sole cinque tracce – quattro, se si considera Shine On You Crazy Diamond un unico brano – del loro nono album, i Pink Floyd riescono a racchiudere e a raffinare l’essenza di quanto realizzato nei lavori precedenti, consegnando alla storia un’opera indiscutibilmente perfetta. La suite Shine On You Crazy Diamond, insieme a Echoes la più bella mai composta dal gruppo, apre e chiude il disco: in mezzo, la distopia metallica di Welcome To The Machine, anticipazione dei toni cupi di The Wall, il blues di Have A Cigar, in cui troviamo le critiche all’industria discografica che caratterizzeranno Animals, e la celebre ballata Wish You Were Here. Il brano che dà il nome all’album è dedicato all’ormai irriconoscibile Syd Barrett, rimpianto leader a cui il gruppo, angosciato dall’enormità del successo di The Dark Side of the Moon, guarda con struggente malinconia.