C’è un motivo per cui band come i Beatles hanno un peso specifico enorme nella storia della musica. Spoiler: questo motivo non è esclusivamente la qualità, perché credo saremo tutti d’accordo che anche Coltrane o Jon Hopkins (giusto per citare due cose che più lontane non si può) abbiano fatto musica estremamente evocativa e qualitativa. Ciò che però rende i Beatles i più grandi di tutti è la variabile impazzita ed indipendente che riguarda l’ampiezza del pubblico a cui essi si sono rivolti e verso cui sono risultati ispirazionali. E allora ecco che improvvisamente fare pop (con un certo spirito rivoluzionario) diventa allora il più coraggioso dei gesti possibili. Eppure il pop può essere anche una facile scorciatoia per il successo immediato, lo sappiamo bene. È soprattutto per questo che parlare con chi fa musica per le masse ti aiuta a capire se l’interlocutore sia uno che cerca la shortcut oppure se sia uno autentico. Deci è senz’altro uno di quelli che stanno dalla parte giusta della barricata, e lo abbiamo capito subito durante la nostra chiacchierata.
La tua musica è descritta come un percorso che permette all’ascoltatore di camminare al tuo fianco. Quale parte di questo percorso ritieni sia stata la più trasformativa per te come artista?
Sicuramente il lavoro su me stesso che sto facendo da qualche anno. Le canzoni che scrivo sono un processo necessario per conoscermi sempre più a fondo, affrontando così anche quelle situazioni che tendenzialmente nascondiamo o non affrontiamo, perché richiedono una lucida analisi di ciò che ci accade.
Il titolo del tuo nuovo singolo Lamette evoca immagini forti e taglienti. Qual è il messaggio principale che vuoi trasmettere attraverso questo brano?
L’intento è quello di mettere un focus su un rapporto masochistico. Una relazione masochista spesso non è affrontata con consapevolezza, e pur di non rimanere da soli preferiamo accettare un rapporto che continua a ferirci. Da qui l’immagine delle lamette che mi piaceva molto.
Hai collaborato con artisti come Alessio Bernabei e Stefano Paviani e produttori come Laguna e Mario Meli. Come queste collaborazioni hanno influenzato il tuo processo creativo e la tua visione musicale?
Ho sempre avuto stima di Alessio come artista, il lavoro che sta facendo con la sua band Follya è un bellissimo punto di riferimento nel panorama italiano. Siamo coetanei e viviamo spesso le stesse dinamiche e difficoltà che posso riscontrare nei giovani adulti, spesso sopraffatti da una società che ci spinge sempre a dare il massimo e che non ci educa al fallimento. Scrivere con lui è stata un’esperienza arricchente e spero di poter collaborare nuovamente in futuro. Mario Meli è stato il produttore dei primi inediti che ho pubblicato e infatti l’ho coinvolto nel progetto perché è veramente molto bravo e sapevo già la qualità delle sue produzioni, quindi in un certo senso ho voluto andare su una certezza. Stefano Paviani e Laguna invece sono andati a lavorare sul pezzo in un secondo momento, perché assieme a loro ho curato e scritto tutti i brani del progetto, e mi hanno aiutato a portare il pezzo in completa linea con tutti gli altri. Questo è un lavoro che ho fatto anche per altri brani, in modo da dare coerenza e credibilità a tutto il progetto, dato che ci sono anche scelte “coraggiose” o comunque meno canoniche.
Hai iniziato la tua carriera a quasi trent’anni. Quali sono state le sfide e le soddisfazioni di intraprendere questa carriera in un momento più maturo della tua vita?
La musica è arrivata in un momento molto particolare, in quanto mi trovavo molto disorientato sulle scelte per il futuro. In un certo senso mi ha salvato. È arrivata come un fulmine a ciel sereno, e ora non posso farne a meno, mi è necessario viverla a trecentosessanta gradi per potermi sentire soddisfatto e appagato, e al momento non ho trovato altro di così appagante nella vita.
La tua musica è una combinazione di pop, elementi dark e tendenze elettroniche. Come riesci a bilanciare questi diversi stili e influenze nel tuo lavoro?
Sicuramente il pop in quanto tale aiuta molto, dal pop si può spaziare molto con la creatività. Gli elementi dark ed elettronici sono una naturale conseguenza di quello che per me è pop, quindi voglio permettermi di sfruttare la struttura di canzoni pop perché la trovo molto affine e posso invece sperimentare molto sul testo e sulle produzioni grazie a elementi dark ed elettronici che sono meno canonici.
Coniugare pop a stile dark è stato complicato, visto che spesso quando si pensa alla musica di largo consumo si immagina qualcosa di più solare?
In realtà non è complicato per niente. Le strutture pop sono sia popolari sia, soprattutto, versatili. Grazie a questo posso permettermi di sperimentare molto, rimanendo comunque in un range “di musica popolare”. Inoltre non ho problemi a fare qualcosa di più solare, nel progetto ci sono cose più solari, ma sicuramente non parlano di arcobaleni o unicorni.
A tal proposito mi viene in mente l’esordio di Billie Eilish che risultò come un momento di rottura con il pop per come lo avevamo ascoltato negli anni antecedenti al suo esordio. È la rivincita della malinconia, quella che stiamo vivendo?
Billie Eilish è un esempio gigante, la apprezzo moltissimo come artista e come scelte artistiche, e amo le produzioni di suo fratello Finneas. Sicuramente Billie ha un’utenza diversa dalla mia, ma la malinconia è una cosa comune e credo sia giusto avere la percezione e la possibilità di viverla alla luce del sole senza doversi vergognare o preoccupare. Siamo persone complesse e abbiamo bisogno di tutte le nostre sfaccettature, anche quelle malinconiche o tristi.
Quali artisti potremmo trovare nel tuo Spotify Wrapped?
In realtà vi stupireste, perché ascolto di tutto. Sicuramente: MACE, Billie Eilish, Mumford & Sons, Nathy Peluso, Beyoncé, Colapesce & Di Martino, Calcutta, Imagine Dragons, Christina Aguilera, Joe Hosaishi, Dardust, Linkin Park, Raye, Madonna, Sleep Token, Smashing Pumpinks, Kings of Leon, Mahmood, Blanco, Elisa, Elodie, Venerus, Salmo, Lucienn, Benson Boone, Dotan.
Nel comunicato stampa si menziona che la tua formula è “essere sempre nuovi senza cambiare”. Puoi spiegarmi come riesci mantenere questa coerenza mentre evolvi come artista?
È essenziale aver imparato una cosa molto importante nella vita: sapersi conoscere. So chi sono e so cosa voglio dire o trasmettere. Quindi posso permettermi di vestire diversi panni, versioni, mondi, e rimanere comunque sempre coerente con me stesso. Più facile a dirsi che a farsi, ma per arrivare bisogna sapersi ascoltare, saper ascoltare ed essere sempre pronti ad imparare cose nuove e a mettersi in discussione.
Nel 2025 ci saranno delle importanti sorprese. Quali temi e storie hai voluto esplorare in questo periodo di genesi musicale e quali vicende hanno fatto da background a questa parentesi di vita? Cosa speri che il pubblico porti con sé dopo aver ascoltato i tuoi nuovi lavori?
Spero di portare molti temi a me importanti, come i vari problemi della mia generazione: sentirsi persi, non sapere cosa scegliere per la propria vita, la voglia di evasione, di essere capiti o parte di un gruppo, il sentirsi inadeguati, la ricerca continua della perfezione o peggio ancora del dover performare sempre al cento per cento, in una società che dà più importanza ai numeri che alle persone e questo spesso ci aliena. Ecco io vorrei parlare di questo, e se posso vorrei aiutare l’ascoltatore con spunti, riflessioni e anche un po’ di autoironia.