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Fontaines D.C., liberaci dal male

Tra Sam Fender e Thom Yorke, tra Chris Martin e gli Idles adesso abbiamo qualcosa di grande valore da apporre e per i quali facciamo il tifo: i Fontaines D.C.

“Sto vivendo una crisi, e una crisi c’è sempre ogni volta che qualcosa non va”. Credo sia una frase facile da ricondurre alle vite di molti, ma, a pensarci bene, temo sia pure un ritratto molto particolareggiato della condizione in cui imperversa la musica di largo consumo oggigiorno. Lo stesso autore di quella frase – che spero non sia necessario enunciare, ma che comunque vi riporto nella speranza possa influenzare le vostre prossime digitazioni su Spotify: Morgan (all’epoca nei Bluvertigo) – ha recentemente detto che non può esistere un underground sano se al di sopra c’è un mainstream malato.

E allora ecco che, con le braccia rigorosamente raccolte dietro la schiena, alla gustosa mestieranza un po’ boomer di chi come me non si trova esattamente a proprio agio in determinati contesti sonori e lirici pop, è doveroso accostare operazioni proattive di elogio nei confronti di chi sta tentando di sanificare quel pop, includendovi una massiccia dose di influenze underground. È il caso dei Fontaines D.C., da molti (troppi) tacciati d’esser il surrogato dei Joy Division, quando in verità, credo io, si sta parlando semmai di un piacevolissimo mix di grandi band che hanno costruito le fondamenta del rock mainstream a partire dalla fine degli anni Settanta. Mi riferisco certamente alla band di Ian Curtis, ma anche agli Smiths di Morrissey e ai primi U2 – quelli dell’era post punk, con cui peraltro condividono i Natali. Ci sono poi i The Cure all’interno dei Fontaines D.C., band peraltro verso cui Grian Chatten e soci non hanno mai nascosto una profonda ammirazione, confermata addirittura dalla suggestiva cover di Just Like Heaven durante una esibizione live che, a quanto mi risulta, potete trovare unicamente su TikTok.

Insomma i Fontaines D.C. sono una autentica proposta musicale fatta di reference solide ma, badate bene, c’è anche molta innovazione (altro che surrogato). E visto che brani come la recentissima Favourite sembrano poter essere il punto di sutura che connette due lembi rimasti per troppo tempo inavvicinabili, ossia il pop rock e l’alternative rock, è evidente che il peso specifico della band dublinese sia inequivocabile. Tra Sam Fender e Thom Yorke, tra Chris Martin e gli Idles adesso abbiamo qualcosa di grande valore da apporre. Sono loro i traghettatori per i quali faccio il tifo. Spero anche voi.