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I Green Day agli I-Days di Milano: «Siamo ancora vivi!»

I Green Day agli I-Days sono essenza uni-trina, in uno show che celebra”Dookie” e “American Idiot” e che comunica a gran voce che Billie Joe Armstrong e soci sono ancora in splendida forma

Ho sempre amato molto il punk rock dei Green Day e la loro attitudine a trecentosessanta gradi da osservatori del mondo, per questo la loro unica data italiana di quest’anno era uno degli eventi da segnare senza alcuna tentazione in calendario, aggiungici poi che questo tour nasce per celebrare Dookie e American Idiot, il tutto si fa ancora più clamoroso. Se il primo ha catapultato la band nella scena mainstream, definendo un’era e stabilendo nuovi standard per il punk rock degli anni Novanta, il secondo è stato un audace concept album che ha ridefinito il ruolo dei Green Day come voce critica e rilevante nella musica contemporanea (indispensabile, mi viene da dire, in quel periodo post-11 settembre). Quando si tratta dei Green Day, le aspettative sono sempre molto alte. Nel tempo queste aspettative non sono mai state tradite e non lo sono state neanche in questo caso, a partire dalla playlist sparata prima del concerto (e chi può mai resistere a Blitzkrieg Bop dei Ramones?).

Aspettatevi fiamme, fuochi d’artificio, immensi wall, un grande aerostatico che vola sul pubblico (lo stesso che sfreccia al centro dell’iconica copertina di Dookie) e un Billie Joe Armstrong che richiama a gran voce ai quasi ottantamila dell’Ippodromo milanese. «Siamo ancora vivi», grida ad un certo punto. E sì, ha pienamente ragione: i Green day sono ancora in perfetta forma. La scaletta è di tutto rispetto: in due ore e mezza riportano dal vivo brani iconici del calibro di Basket Case, American Idiot, Boulevard of Broken Dreams, Know Your Enemy, Holiday e Good Riddance sul finale. Che Billy Joe sia un intrattenitore da circoletto rosso della storia del rock non c’è dubbio – ma questo lo sapevamo già prima dell’ennesima dimostrazione della scorsa notte. Ciò che stupisce ancora e ancora, è la capacità di risultare sempre credibile, autentico ed innovativo persino quando tiene fede alla lunga lista di gesti stereotipati da rockstar. Qualche esempio? Beh, certamente il fatto di nominare il Paese in cui si sta esibendo decine di volte, ma anche lo stabilire un vero e proprio botta e risposta con il pubblico.

Esso risponde ad amore con altrettanto amore, come è logico che sia, saltando ed applaudendo in una lunga festa in cui scatenare un po’ di sana follia non solo è lecito, ma addirittura un dovere morale. Gli occhi spiritati di Billy e quegli iconici capelli biondi (sì, sono tornati) sono talmente calamitanti che sottrarsi ad una tale grandezza è letteralmente impossibile. Ma non c’è solo Billy Joe Armstrong – i Green Day sono essenza uni-trina e lo si capisce quando prende forma il siparietto con Tré Cool e Mike Dirnt: i due indossano una vestaglia leopardata e cantano accompagnati da un’orchestra di soli archi ammiccando ai presenti e dando un attimo di riposo al frontman, in un divertente show nello show. Il tutto per quasi due ore e mezza, senza praticamente prendersi mai una reale pausa. Insomma, dai Green Day ieri sera ho avuto tutto, ma non c’erano dubbi.