Esiste una regola non scritta nel mondo della musica live: se il tuo show è pensato per gli stadi, difficilmente potrà rendere al massimo in contesti diversi. Ma se ti chiami Ed Sheeran, questa regola può essere messa in discussione, e il contorno per molti (non per tutti) passa in secondo piano. L’artista di Halifax ha scelto il Lucca Summer Festival come unica tappa italiana del suo tour europeo, e se pochi giorni fa per Eric Clapton erano stati i baby boomer a riempire l’area delle Mura Storiche, per Sheeran è la generazione Z a dominare la scena: 45 mila fan accorsi da tutta Europa, cui si aggiungeranno altri 40 mila stasera. Ed Sheeran si presenta in Italia in una versione totalmente inedita: con una band alle spalle, attacca Castle On The Hill. «Se non conosci questa, sei al concerto sbagliato», commenta una ragazza accanto a me. E come darle torto.
L’ultima volta che ho visto Ed Sheeran era all’Ernst Happel Stadion di Vienna nel suo momento d’oro: quell’anno, il suo quinto album, Divide, raggiunse il milione di vendite nel Regno Unito dopo soli sedici giorni. L’atmosfera era diversa, più tesa e formale. I concerti di questo tour, invece, hanno un sapore più autentico, più vicino al pubblico. Niente scenografie elaborate, niente effetti speciali e una band che lo supporta di tanto in tanto. Ed è forse proprio questa la chiave vincente: decostruire per trovare l’essenza. A parte quindi qualche parentesi con la band (Castle on the Hill, Blow, Lego House, Overpass Graffiti, Galway Girl, Thinking Out Loud, Happier e Afterglow), Ed Sheeran fa tutto da solo, e lo fa dannatamente bene. Lui che è un Sam Smith che rompe meno le palle e un Dylan che piace alle ragazzine. Uno che sale sul palco solo con una chitarra, una loop station e un microfono. Parla di amore, perdita e crescita personale, con una dote innata nel connettersi con il proprio pubblico, che risponde con la stessa intensità. La conferma arriva sul finale quando intona il primo, bellissimo verso di Photograph: quel “Loving can hurt, loving can hurt sometimes” diventa un manifesto di un’intera generazione. Perché la sua musica non cerca di fuggire dalla realtà, ma la celebra in tutta la sua complessità.
Sul palco non si ferma un attimo, distribuendo equamente pezzi dai suoi album Plus, il suo secondo album (prima The A Team, poi I’m a Mess e Give Me Love) passando per un blocco centrale di pezzi presi da Multiply, Divide, Subtract ed Equals. Vengono invece totalmente ignorati i brani del suo ultimo album, Autumn Variations. Non ci sono però segni di delusione da parte del pubblico, perché il messaggio è chiaro: si tratta del tour celebrativo dei suoi cinque album più noti, prendere o lasciare. Lo show è un un mix di country, folk, brit pop e rap che si conclude dopo due ore e mezza e ventisette canzoni in scaletta. Il finale è un tris da sei miliardi (sì, avete letto bene: M-I-L-I-A-R-D-I) di streams composto da You Need Me, I Don’t Need You, Shape of You e Bad Habits. Il pubblico urla il suo nome, lui si congeda. Ma la convinzione resta: Ed Sheeran dal vivo è bravo come pochi altri in circolazione.