Incontrare Jean-Benoît Dunckel e Nicholas Godin, gli AIR, significa avere a che fare con un pezzo di storia della musica elettronica. Il 16 gennaio 1998, in una Francia influenzata dalle mode provenienti dagli Stati Uniti, il loro album di debutto, Moon Safari, irrompeva sulla scena, diventando un progetto acclamato dalla critica musicale e un vero e proprio successo internazionale, grazie anche e soprattutto all’innegabile bellezza del suo suono dream pop ispirato alla tradizione francese degli anni Sessanta. L’impatto della musica degli AIR e di altri artisti di spessore sulla loro stessa scia, i Daft Punk in primis, ha eliminato gli stereotipi sulla musica elettronica e pop rock francese, lanciando le carriere internazionali di entrambi gli artisti e scatenando un’influenza duratura non solo sulla scena musicale elettronica francese, ma anche sull’attuale rinascita della musica francese a livello globale. L’uscita di Moon Safari ha catapultato Nicolas e Jean-Benoît sul gradino più alto della scala della musica elettronica e ha lasciato un’impronta indelebile nella cultura pop della fine del Ventesimo secolo. Attraverso questo disco, la musica degli AIR si è infiltrata e ha trasfigurato alcuni dei grandi visionari, da David Bowie a Madonna, Beck, oltre a influenzare esteti preminenti dell’era successiva, tra cui Charlotte Gainsbourg, Kevin Parker e la regista Sofia Coppola, il cui rapporto creativo con gli AIR è diventato sinergico come quello tra Angelo Badalamenti e David Lynch. Venticinque anni dopo, non è difficile capire perché Moon Safari abbia superato la prova del tempo. È uno stato d’animo in cui vuoi vivere per sempre.
Immagino Moon Safari occupi un posto speciale nel vostro cuore…
Jean-Benoît: Moon Safari è stato l’album delle prime volte. Ha rappresentato l’inizio di tutto per noi, del nostro percorso in questo settore e della nostra carriera. All’epoca era tutto nuovo: le prime registrazioni, i primi meeting… Tutto era fresco, originale e in un certo senso magico. Ricordo benissimo che andammo ad Abbey Road per registrare alcune parti del disco, nello specifico gli archi, ed era stato veramente affascinante riscoprire il valore della musica in un luogo così sacro. Il suono della nostra musica, al contempo, è diventato subito più “bianco”, ricco, quindi è stata indubbiamente una bella aggiunta all’album.
Quando l’ho ascoltato per la prima volta, ho avuto subito la sensazione che fosse un disco senza tempo.
Jean-Benoît: Se ti dicessi che l’abbiamo fatto di proposito?
Quindi lo pensate anche voi?
Jean-Benoît: Quando siamo entrati in studio di registrazione e abbiamo messo le mani in pasta, la nostra speranza era stata proprio quella di realizzare un progetto che potesse superare la prova del tempo, con l’obiettivo di renderlo un disco diverso da tutto ciò che andava in voga durante gli anni Novanta. Potremmo quasi definirlo un disco in controtendenza con la moda dell’epoca.
Cosa ricordate di quei giorni?
Jean-Benoît: Lavoravamo duro ogni giorno ed era dura, perché non eravamo mai soddisfatti, ma sempre sperimentando e alla ricerca di nuovi sound, sovrastrutture o melodie. Abbiamo avuto l’opportunità di lavorare in un home studio, senza la pressione di dover consegnare un disco nell’arco di sole due settimane o comunque nel giro di poco tempo, ma di poterci spingere creativamente in molteplici direzioni e in maniera approfondita per circa un anno. Moon Safari ha preso forma in questo modo».
Avete una laurea in architettura e matematica e la vostra conoscenza reciproca passa dalle aule universitarie e dal Conservatorio. In che modo la matematica e l’architettura possono concretamente influenzare la musica e quindi il processo produttivo di un artista?
Nicholas: Il nostro background accademico è stato sicuramente fondamentale per il nostro approccio alla musica. Nel mio caso, durante gli anni passati nella facoltà di architettura, ho appreso un modo di pensare, di ragione e di agire che ha decisamente influenzato il modo in cui mi relaziono con la musica, nel produrre una canzone, un’instrum. Non credo che se avessi studiato altro, avrei fatto la stessa musica.
Nel Duemila avete lavorato con Sofia Coppola per la colonna sonora de Il giardino delle vergini suicide. Poi avete replicato con Lost In Translation, ma so che avete anche un profondo legame con l’Italia (gli AIR hanno prestato il loro talento a nomi come Paolo Sorrentino e Alessandro Baricco ndr.). Il potere della collaborazione e delle sinergie creative tra esseri umani, a partire dalla vostra, rimane tutt’ora fondamenale. Qual è il primo nome che vi viene in mente oggi con cui vi piacerebbe collaborare?
Jean-Benoît: Un nome con cui ci piacerebbe collaborare è Billie Eilish. È una grande artista e penso che la nostra musica si sposerebbe molto bene con la sua voce. Ci piace il fatto che sia un’artista semplice, minimal.
Cosa sentite che sia veramente cambiato del vostro modo di calcare il palcoscenico nel 2024?
Nicholas: La tecnologia ha fatto sicuramente dei passi da gigante da quando abbiamo iniziato a fare questo mestiere, negli anni Novanta, e persino dal nostro ultimo tour. Oggi si possono raggiungere dei risultati che in passato avremmo potuto solo immaginarci. Possiamo suonare uno strumento senza mani. E quando abbiamo entrambe le mani libere, possiamo riprodurre molteplici sound, a base di chitarre, drum machines, sintetizzatori e così via. Anche in termini di sound design possiamo ricreare la magia e il fascino di quelle sonorità che un tempo prendevano vita in maniera totalmente diversa. All’inizio della nostra carriera, ci risultava difficile ricreare il suono originale di Moon Safari.
Il progresso digitale permette anche di percepire delle nuances diverse all’interno delle vostre produzioni.
Nicholas: Penso sia il meglio di entrambi i mondi. Ci sarà più energia sui palchi che calcheremo rispetto all’album, ma saranno anche degli show con tanta musica minimalista, perché giustamente non potremo suonare tutto e dovremo fare una scelta.
Quanto è importante confezionare a trecentosessanta gradi la propria musica in un’epoca storica in cui le persone sembrano riferirsi a un artista o un produttore specifico per realizzare l’album perfetto? Mi sembra che si possa pensare in grande anche da soli e realizzare grandi cose…
Nicholas: Assolutamente sì, ti dico anche che è fondamentale. Devi essere proprio un geek, conoscere i programmi giusti, il linguaggio e come funziona la tecnologia, che ha cambiato radicalmente il suono della musica contemporanea. Ogni musicista deve essere consapevole di quello che accade intorno a lui, di come funzionano certi tools o software.
Siete tornati a Milano per un live e tornerete ancora quest’estate, a Roma e poi a Ferrara. Cosa vi lega al nostro Paese?
Jean-Benoît: Milano è una delle mie città preferite nel mondo. Ogni volta che ci torno, per lavoro o per piacere, mi ricordo i momenti più belli che ho trascorso nel capoluogo, per di più tutti legati alla mia infanzia. Mi spiace solo che ci fermeremo per un giorno, ma torneremo presto in Italia.
Foto: Manuel Obadia-Wills
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