Si è spesso ripetuto, nel corso degli anni, che per il rap Italiano i Club Dogo sono stati un crocevia, una variabile impazzita che il sistema non aveva previsto e che ha cambiato in maniera definitiva le carte in tavola per tutti quelli che sono arrivati dopo, tutti quelli che trovandosi a cercare di fare i rapper li hanno provati ad emulare con risultati altalenanti, quelli che si sono sentiti rappresentati dalla dialettica di strada che Guè, Jake e Don Joe hanno saputo portare nel mainstream e l’hanno poi ricercata dentro altri artisti. Uscendo dalla prima delle dieci date che i Club Dogo faranno al Forum di Milano, non posso fare a meno di pensare che se il gruppo in sé e il movimento popolare che abbiamo imparato ad associarvi sono stati un crocevia del rap italiano, questa serata è stata la chiusura di un cerchio.
Non tanto per i Dogo stessi né per il concetto di dialettica di strada implementata nel mainstream, che è anzi oggi stata portata a livelli ancora più alti da artisti contemporanei. Piuttosto, è stata l’elevazione definitiva, l’apoteosi di quel mantra “Dalla gente per la gente” su cui è stato costruito il loro ritorno sulla scena musicale italiana negli scorsi mesi e che diverse volte Guè, Jake e Don Joe hanno quasi ossessivamente ripetuto da quel palco. Quello dei Club Dogo al Forum è stato uno show senza compromessi, non costruito per i fan della ultima ora, non pensato per chi i Club Dogo li ha scoperti davvero con l’ultimo disco e si aspettava uno show incentrato sui successi odierni. È stato uno show invece creato apposta per chi c’è stato dal principio, per chi l’evoluzione dei Club Dogo l’ha seguita in tutte le sue fasi e sfaccettature, da quella più sociale e politica a quella più zarra, da quella più leggera a quella più romantica, per chi ha vissuto l’hip-hop nella sua forma più pura e nel vedere lo striscione del Wu-Tang Clan appeso alla consolle di Don Joe non ha potuto fare a meno di sorridere.
La prima parte dello show è dedicata quasi esclusivamente a una carrellata di pezzi tratta dai primi tre dischi del gruppo, tre classici che a loro modo costituiscono una trilogia mai più raggiunta da nessuno nel rap italiano: Mi fist, Penna Capitale e Vile denaro. Si parte con M-I Bastard – e quella ripetizione del “Sono un bastardo di Milano” che lascia presagire che tipo di serata sarà. E poi via via si prosegue, da Cronache di resistenza e Vida Loca passando per Il mio mondo, le mie regole a un ritmo frenetico, che il pubblico segue con assoluta estasi, fino ad arrivare ai successi più recenti, da Milly a PES (per cui compare sul palco Giuliano Palma) passando per Mafia del boom bap, Fragili e poi anche pezzi più part per cui viene portato sul palco anche un corpo di ballo che accompagna i due rapper in un momento che ricorda il 50 Cent di In Da Club. Guè e Jake dimostrano una sintonia sul palco non scontata per chi non si esibisce insieme da quasi dieci anni e il pubblico è assolutamente succube al loro show in ogni sua componente.
Particolarmente coinvolgenti – e a loro modo commoventi – le esibizioni di tre classici come Tornerò da Re, Lisa e Brucia ancora, per cui compare sul palco piuttosto inaspettatamente anche J-Ax («Se non ci fosse stato lui, non ci sarebbero stati i Club Dogo», dice Jake). La chiusura è affidata a Puro Bogotà, per cui viene riportato sul palco a diversi anni dall’ultima volta anche Vincenzo da Via Anfossi, e All’ultimo respiro, la degna conclusione di una serata che ha pochi eguali. I Club Dogo, che per primi sono riusciti ad arrivare a un tale livello di notorietà portando quel tipo di contenuti con quel tipo di linguaggio, che hanno spianato la strada a tutti quelli che li hanno succeduti, hanno messo tutto ciò che sono stati e continuano a essere su uno dei palchi più importanti d’Italia. A giugno saranno anche a San Siro, un’altra data che avrà una valenza simbolica non indifferente, ma intanto la storia è già stata fatta.