Un sondaggio lanciato da BBC Radio 2 ha eletto The Joshua Tree Miglior Album degli anni Ottanta – seguito da Brothers in Arms dei Dire Straits, The Stone Roses degli Stone Roses e Thriller di Michael Jackson – e non possiamo che essere d’accordo.The Joshua Tree è innanzitutto uno specchio dello speciale rapporto che lega gli U2 agli States. Bono lo definì allora come il tentativo di «smantellare la mitologia dell’America» e, dividendosi tra un’aspra critica alle scelte in tema di politica estera portate avanti dall’allora Presidente Ronald Reagan e tentando di riscoprire il «vero spirito americano», riuscì nell’intento. Celebre è diventata l’immagine del Joshua Tree, la pianta che, con quelle sue forme così anti convenzionali svetta sull’arido deserto californiano, e domina l’album, dandogli il nome (i primi titoli proposti furono The Two Americas e Desert Songs) e campeggiando sul retro dello stesso. La ricerca dell’America più autentica non si ferma ai paesaggi desolati dello Joshua National Park (California), ma prosegue naturalmente in ambito musicale.
I quattro di Dublino recuperano sonorità e generi profondamente radicati nella tradizione musicale a stelle e strisce, dagli immancabili generi blues e country, passando per il rock & roll ed il rockabilly di mostri sacri come Elvis Presley e Jerry Lee Lewis, sino ad arrivare a cantautori del calibro di Patti Smith e Bob Dylan. Ma l’album non è solo struggente dal punto di vista musicale: memorabile lungo tutto l’album è il suono della chitarra di The Edge, ispirato ed epico come non mai, ma lo è anche volgendo l’attenzione ai testi. Giocando con le emozioni dei suoi ascoltatori Bono & co. affrontano con una sensibilità invidiabile temi ancora oggi attuali, dalla religione, troppo spesso ostacolo anziché strumento di unione tra i popoli (riecheggiano i temi di October) alla politica, passando per i moti più profondi che scuotono l’animo umano: dal nostro inesauribile desiderio di ricerca, al senso di insicurezza che affligge la nostra specie, non dimenticando di dedicare una ballata memorabile ad un amore tormentato.
Nei primi quindici minuti, shock e al contempo un senso di meraviglia si impossessano dell’ascoltatore, si susseguono nell’ordine Where The Streets Have No Name, I Still Haven’t Found What I’m Looking For e la ballad With Or Without You (sì, avete capito bene, tutte in un unico album). Proseguendo poi con testi dalla forte intensità emotiva come la canzone di denuncia sociale Bullet The Blue Sky o la maledetta Exit, probabilmente la canzone più cruda ed esplosiva di tutto il repertorio della band, che denuncia le atrocità compiute nel mondo in nome del sentimento religioso. Insomma se The Joshua Tree fosse uno scatto, sarebbe un ritratto di Helmut Newton, di quelli che trasudano realismo e nel contempo incanto estetizzante. Se fosse un film sarebbe Into The Wild di Sean Penn, un viaggio alle origini di sé. Se fosse un romanzo sarebbe uno di quelli di Hemingway, fatto di strade, strade che spesso non hanno un nome.