Candidato agli Oscar per Miglior film e Miglior sceneggiatura originale, vincitore del premio del pubblico allo scorso Sundance e presentato in concorso alla Berlinale del 2023, Past Lives, il debutto di Celine Song dipinge il particolarissimo triangolo amoroso che si viene a creare tra Nora (Greta Lee), Arthur (John Magaro) e Hae Sung (Teo Yoo). Hae Sung e Nora, nata in Corea con il nome di Na Young, si conoscono e si innamorano tra i banchi di scuola, ma la loro storia, molto profonda nonostante i dodici anni di età, viene bruscamente interrotta quando la famiglia di lei, nel Duemila, decide di lasciare Seoul per Toronto. Nel 2012, tramite i social media, i due riprendono i contatti: la loro connessione è ancora molto intensa, ma Nora, ormai lontanissima dalla cultura d’origine, decide di interrompere nuovamente il rapporto, che l’enorme distanza rende impossibile da vivere pienamente. Dodici anni dopo Nora si è trasferita a New York, lavora come scrittrice ed è felicemente sposata con Arthur, a sua volta scrittore.
Hae Sung, in Corea, ha rotto di recente un lungo fidanzamento e, finalmente, decide di andare a trovare Nora negli Stati Uniti. I due, rivedendosi, non possono non pensare a cosa sarebbe successo se Nora, ventiquattro anni prima, non avesse lasciato la Corea. Nell’atipico triangolo sentimentale che si viene a creare, il lato più interessante è quello rappresentato da Arthur, il marito di Nora. L’uomo, lontanissimo dallo stereotipo del marito geloso, grazie all’arrivo di Hae Sung prende atto della distanza che lo dalla cultura originaria della moglie: il rapporto tra Nora e Hae Sung, per Arthur come per lo spettatore, diventa lo specchio del legame della donna con la terra natia, lasciata con dolore in favore di una strada che si è però rivelata molto soddisfacente. Arthur riconosce l’eccezionalità della relazione tra Nora e Hae Sung, il cui rapporto, segnato dal costante rimpianto di quello che sarebbe potuto accadere, è il simbolo della distanza incolmabile tra passato e presente, oltre che tra Oriente e Occidente. La complessa relazione che si instaura tra i tre protagonisti vuole comunicare allo spettatore la sensazione che le nostre “vite alternative” che avremmo vissuto se fossero state fatte delle scelte diverse, persistano in modo ineffabile nel presente.
Quelle “vite alternative” che, incarnandosi talvolta in rapporti poco comprensibili ma profondissimi come quello che, nonostante la distanza, continua a permanere tra Nora e Hae Sung. Celine Song, a sua volta emigrata in Canada dalla Corea quando aveva dodici anni, è animata da un intento interessantissimo, ma pecca di didascalismo: la natura della relazione di Nora e Hae Sung, infatti, è a più riprese spiegata tramite dialoghi e battute, piuttosto che lasciata emergere dalla semplice interazione tra i due personaggi. Lo spettatore, perfettamente istruito riguardo alle sensazioni che dovrebbe provare, segue la logica della narrazione, ma l’intensità del sentimento che unisce i protagonisti non riesce a motivare lo struggimento che la regista intende comunicare. Il fatto che Nora, evidente alter ego della regista, sia costantemente dipinta come la più straordinaria delle donne, fa inoltre sorgere qualche perplessità riguardo alle dimensioni dell’ego dell’autrice.