Sono passati dieci anni da Non siamo più quelli di Mi Fist, quello che fino a non più di qualche mese era, secondi tutti, l’ultimo disco che i Club Dogo avrebbero mai prodotto insieme. Dieci anni in cui per il rap, e in generale per il mercato musicale italiano, è cambiato più o meno tutto. Il rap, in parte sulla scia del trio composto da Guè, Jake La Furia e Don Joe – che aveva contribuito a sdoganare il genere di fronte al grande pubblico nel corso degli anni Duemila e che ha ispirato i vari Lazza, Ernia, Tedua, Rkomi e tanti altri nell’ultimo decennio – è diventato il genere cardine della discografica italiana. Un processo inesorabile a cui hanno preso parte anche loro tre, ognuno con il proprio percorso individuale, che spesso si è discostato e non poco dai Club Dogo. Data questa premessa, chiedersi quale possa essere il valore aggiunto di un nuovo disco dei Club Dogo alla musica o in Italia o alle rispettive carriere soliste se non quello di appigliarsi alla vena nostalgica dei fan del rap italiano è assolutamente lecito. Cosa può dare oggi un disco nuovo dei Club Dogo alla musica italiana che non possono dare i dischi solisti di Guè, Jake La Furia o Don Joe?
Fin dai primissimi secondi di C’era una volta in Italia, traccia di apertura di Club Dogo, mi rendo conto che questa domanda non necessita per forza di una risposta sorprendente. Mi rendo conto che anche se non c’è niente di nuovo o innovativo che un disco dei Club Dogo può portare alla musica italiana nel 2024, vederlo uscire, ascoltare Jake e Guè sullo stesso beat per la prima volta dopo dieci anni, vedere estratti del disco monopolizzare le classifiche, vedere dieci Forum di Milano sold out prima dell’uscita e una data a San Siro annunciata per l’estate, è sintomo di un qualcosa che va oltre il disco. Una tendenza di desiderio per la dialettica portata in Italia dai Club Dogo che non si era mai esaurita e che anche solo per questo meritava di essere esplorata. La cosa che sorprende di più, probabilmente, è che il disco si colloca alla perfezione in questa tendenza. A differenza da quello che qualcuno avrebbe potuto aspettarsi dati i progetti solisti dei tre artisti negli ultimi anni – che come detto sono andati in direzioni anche molto diverse rispetto ai primi lavori del gruppo – questo è un disco dei Club Dogo da Club Dogo.
Ci sono beat boom bap che sembrano usciti direttamente dal 2006, non necessariamente complessi o variegati ma incalzanti, cattivi, perfettamente coerenti con i primi dischi del gruppo. C’è Jake La Furia – che ricordiamolo, nella parentesi tra Mi Fist e Vile Denaro ha toccato vette mai più raggiunte da nessun rapper italiano – che per incisività di immagini e flow tocca il livello più alto dei suoi ultimi quindici anni di carriera. C’è Guè che con la maestria a cui ci ha abituato sia durante gli anni con i Dogo che durante i prolifici anni di carriera solista che hanno seguito il capitolo Dogo mantiene un livello altissimo per tutte le undici tracce. E soprattutto, non ci sono compromessi. Per tutta la durata del disco, si ha l’impressione che non c’è minimamente l’intenzione di andare incontro a un pubblico più giovane, più vicino alle sonorità della trap o della drill. Persino Milly in collaborazione con Sfera Ebbasta, ovvero uno dei massimi esponenti della trap emersa dal 2016 in poi, mantiene un’impostazione boom bap su cui è Sfera ad adattare il proprio stile alla base e non viceversa.
Oltre a Sfera, le altre collaborazioni sono con Elodie, autrice di un riuscitissimo e per certi versi sorprendente ritornello in Soli a Milano e l’immancabile Marracash, la cui storia artistica è irrimediabilmente legata alla Dogo Gang, e che qui con una strofa già iconica in Nato per questo fa un punto sul suo percorso artistico e umano. Tra le altre tracce, menzioni d’onore per Malafede, che campiona la bellissima Sei mio di Nada, King of the Jungle, espressione dei Club Dogo più cazzoni ma memorabili, e soprattutto Tu non sei lei, che racchiude tutta la durezza lirica e strumentale di cui sono capaci Don Joe, Guè e Jake La Furia insieme. Nonostante le premesse, Club Dogo è un disco giusto, perfettamente coerente con tutto quello che i Club Dogo sono stati e continuano a essere per il rap italiano. Ma soprattutto, si tratterebbe di una conclusione più degna rispetto a Non siamo più quelli di Mi Fist .