Dimenticate le cariche di cavalleria di Massimo Decimo Meridio sulle note di Hans Zimmer o le memorabili parole del replicante Roy Batty, perché il Napoleone di Joaquin Phoenix si rivela, a sorpresa, un personaggio ben lontano dall’epica, che si definisce perlopiù attraverso il rapporto con la prima moglie, l’amata Josephine, interpretata da una grande Vanessa Kirby. Se le imprese napoleoniche sono ben note anche al meno applicato degli studenti, il regista Ridley Scott decide di concedere più spazio di quanto si potrebbe pensare alla dimensione emotiva e privata del grande Generale. La tormentata storia d’amore tra gli affiatati Phoenix e Kirby indaga quella dinamica donna-uomo d’arme già esplorata in tempi recenti dal regista britannico nell’opera cavalleresca The Last Duel.
Una rapporto che, tra disagio e passione, è tutto racchiuso nel gesto disperato di Napoleone, pronto a lasciare la battaglia pur di correre dalla moglie che lo tradisce. Risulta piuttosto scontato, nonostante le due ore e mezza di pellicola, quanto sia difficile anche solo abbozzare la complessità delle vicende belliche e le tante sfaccettature di quello che è probabilmente il personaggio più studiato della storia moderna. Il regista pertanto non persegue la via della fedeltà storica ad ogni costo dipingendo piuttosto un suo ritratto di Bonaparte. In questa ottica poco importa se Napoleone abbia potuto o meno assistere al taglio della testa di Maria Antonietta, l’aver taciuto la celebre Campagna d’Italia, o la maggiore età della moglie Giuseppina, ribaltata per esigenze filmiche in favore del nativo di Ajaccio.
Tutti elementi che avrebbero fatto scricchiolare una tesi magistrale e che invece poco tolgono al significato del prodotto filmico. La più grande luce di Napoleon, più degli straordinari sfondi bellici e gli istrionismi (un po’ dimessi) di Joaquin Phoenix, è proprio la Giuseppina di Vanessa Kirby, motore della trama e delle azioni di Bonaparte. È in questi termini che può dirsi riuscito l’imperfetto Napoleone di Scott, un uomo incredibilmente grande e al contempo – negli affetti – tanto piccolo. Non a caso anche le ultime parole pronunciate dall’ormai ex imperatore, malato e sconfitto, dal suo esilio a Sant’Elena sono tanto magniloquenti quanto intime: «France», «Téte d’armée» e l’indimenticata «Josephine».