La conferma che avrei assistito al concerto di Elodie è arrivata il giorno in cui in migliaia si sono riversati nelle piazze d’Italia – per Giulia e per tutte. Ho pensato che fosse una casualità piuttosto interessante, in effetti; il corpo femminile ha ricominciato ad essere al centro del dibattito culturale del Paese, ed Elodie in qualche modo è stato il megafono di molte istanze degli ultimi mesi. Così, prima di parlare del concerto che ha letteralmente incendiato Roma, voglio fare una riflessione: in che modo la musica pop italiana – che da sempre soffre un incontrastato dominio testosteronico – sta reagendo a questa ondata di rivendicazione sociale? La risposta è, ahimè, ancora piuttosto blanda, e le classifiche di vendita ne sono una triste prova. Nonostante questo, però, lo show di Elodie rappresenta un vero avamposto della resistenza femminista, ed una strada da percorrere per chi avrà intenzione di seguirla. Dopo il successo di pubblico e critica riscosso dallo show evento dello scorso maggio al Forum di Milano, l’artista torna live in uno spettacolo cucito sulla pelle della cantante, che esalta tutte le sue capacità da perfetta performer.
“Elle come la mia libertà” – si legge sul ledwall alle sue spalle, proprio mentre canta il ritornello dell’omonima canzone. Elodie non è solo libera, Elodie è liberatrice. È professionalità, competenza e grande talento che incontrano un’estetica nuova, dirompente, che supera i suoi stessi limiti. Scorrono veloci i ventisei brani in scaletta, come se tutti aggiungessero dettagli a quel messaggio di riscatto ed emancipazione che lei, o chi per lei, ha intercettato fra le strade. “Il genere non può determinare la libertà di una persona, ma 29,9 milioni di ragazze adolescenti vivono nei dieci Paesi con il più alto numero di matrimoni infantili”. A fine concerto si ha l’impressione di essere stati ad uno di quei grandi show che le star americane portano in Italia. «Pensate all’Eurovision che spettacolo potrebbe fare», dice qualcuno dietro di me. Ed è vero, in effetti. Dopo un concerto del genere è facile pensare che Elodie sia più compatibile con il panorama musicale internazionale; che il suo pop, il suo modo di stare sul palco, non abbia nulla da invidiare a quello delle colleghe d’oltreoceano. Ci si può far cullare dall’idea che per questi motivi lei sia perfetta per l’Eurovision, dove quel tipo di esibizione è una consuetudine più che certa. Eppure so che è un errore. Mi spiego meglio: la straordinarietà di Elodie sta soprattutto nel fare quello che fa in un panorama musicale che non ha molte altre proposte simili. All’interno di un sistema con regole e piramidi strutturali più che macisti come quello discografico italiano, Elodie si prende il suo spazio, con precisione e potenza.
Sono sicuro che all’Eurovision farebbe una bellissima figura, non lo metto in dubbio. Anzi, sono il primo a credere che il suo progetto abbia senza alcun dubbio un respiro internazionale. Ma forse è proprio per questo che Elodie è tanto importante per questo Paese: lei potrebbe essere la prima di una lunga serie di donne che fanno un pop libero, riottoso, internazionale, spettacolare. Per capirci meglio, racconto un aneddoto che riguarda Michela Murgia. Per molto tempo, fra le attiviste femministe di questo Paese, è stata lei quella mediaticamente più esposta. Per questo motivo, ogni anno, decine, se non centinaia di associazioni, scuole, enti di ogni tipo, chiedevano la sua presenza per parlare di argomenti quali la cultura patriarcale e la discriminazione di genere. Ma di tutti gli incontri e appuntamenti fatti nel tempo, ne ricorda uno con emozione: quello di Valdagno, nella parrocchia di Don Matteo Menini. Questo perché, anche se non è facile dialogare con certe frange più conservatrici del movimento laicale cattolico, Michela lo reputava necessario. Ho provato ad immaginarla attorniata da chierici, alti e bassi prelati, scout di ogni età, mentre spiega loro come i tratti stereotipati di questa cultura nuocciono gravemente a uomini e donne indistintamente, ed ho capito che l’essenza di questo tipo di messaggi sta anche e soprattutto nel loro contesto, e che questi rappresentino una conquista quanto più sono scomodi e distanti nel luogo e nel momento in cui vengono espressi.
Elodie è nel mondo dello spettacolo, lo so per certo, ed in nessun caso lo showbiz italiano è assimilabile ad una parrocchia di periferia. Eppure, allo stesso modo, Elodie ha saputo portare un certo tipo di espressione femminile in un luogo assolutamente ostile all’espressione, perché viviamo in un Paese che sottovaluta o nega sistematicamente il merito delle donne (checché ne dicano molte sue colleghe). Elodie dimostra che immagine e sostanza possono coesistere, che una donna non deve indossare un saio per essere presa sul serio e che certi messaggi di puro empowerment femminile si possono fare anche con minigonna e tacco tredici. Il seme piantato da Michela Murgia in quella parrocchia ha fatto sì che quella chiesa diventasse un punto di integrazione culturale e inclusione unico in Italia. Chissà che cosa nascerà dal seme piantato ieri sera.