Nell’era dell’iperconnessione, dell’utilizzo spasmodico dei social media e bla bla bla. Un’intro di questo genere l’avrete letta almeno un centinaio di volte. Così, mi sono imposta di voler provare a dare il giusto spessore nell’introdurre (brevemente, perché l’intervista è decisamente ricca e densa di concetti) Lux Eterna Beach, il nuovo album di Colapesce e Dimartino. Un disco che arriva a tre anni da I Mortali e che, come se ce ne fosse davvero bisogno, sottolinea ancora una volta le incredibili doti cantautorali di Lorenzo Urciullo e Antonio Di Martino. L’intervista porta in un viaggio alla scoperta del loro nuovo progetto discografico, con qualche piccola digressione, anche necessaria per raccontare i due cantautori. Un’intervista che mi lascia con tanto su cui riflettere, e con l’impressione che se, anche per poco, io sia riuscita a creare una vera e propria connessione umana con due artisti che riescono a raccontare il nostro presente, tra paure, aspettative per il futuro e consapevolezze che si rinnovano con il tempo.
I miei genitori sono due siciliani che pensano di sapere tutto sulla Sicilia. Gli ho mostrato la copertina del disco e mi hanno detto «questo posto non è in Sicilia». E invece la foto della cover di Lux Eterna Beach è stata scattata sulle Madonie, al parco astronomico Gal Hassin. Mi sembra ci sia una sorta di connessione con quella de I Mortali.
Colapesce: C’è sempre una connessione in tutto quello che facciamo. Lux Eterna Beach è un disco luminoso e abbiamo scelto quel posto perché ha questa tematica di fondo, che è la metafisica. Gal Hassin ci ricordava i quadri di Giorgio de Chirico, con la meridiana al centro che segna l’una e dieci, l’ora esatta dello scatto. C’è proprio il concetto “del qui e ora”. Poi noi siamo sempre uno a destra e l’altro a sinistra, in posizioni simili.
Ho letto l’articolo che è uscito su Libero quando avete pubblicato Ragazzo di destra, pur non avendolo trovato particolarmente aggressivo, mi sembra che non sia stato pienamente colto che gli stereotipi che avete utilizzato fossero voluti. Voi come lo avete recepito?
Dimartino: Mi è sembrato un articolo scritto di pancia da una parte politica che comunque, in questo momento storico, ha bisogno di nemici, ma non siamo noi. Il nostro non era un intento politico, ma poetico. Ragazzo di destra parla di un sentimento comune a tante persone: la paura. E la paura genera odio, e in questo momento storico penso che sia l’ultima cosa di cui l’essere umano ha bisogno. Ci abbiamo ragionato tanto sul voler scrivere una canzone che descrivesse un ragazzo nell’Italia del 2023, con al potere un governo di destra, dove i ministri dicono frasi come “stiamo assistendo alla sostituzione etnica” o chiamano gli immigrati “risorse”. Nel brano abbiamo “semplicemente” utilizzato il loro linguaggio.
Colapesce: Quando abbiamo scritto Ragazzo di destra pensavamo a La guerra di Piero di De André. Ci sono questi due soldati che alla fine si incontrano e anche se hanno bandiere diverse, la paura è la stessa. E il brano si chiude proprio con “come me hai paura ma è una splendida sera”. Travisare il senso della canzone è facile se ti limiti ad ascoltare superficialmente.
Dimartino: Negli ultimi anni gli articoli devono avere il titolo che ti acchiappa, la canzone lo slogan identificativo e il politico deve parlare per slogan per acchiappano le persone, perché secondo i politici nessuno di noi capisce niente o approfondisce niente. Invece noi ci crediamo che la gente ascolta, approfondisce e ha bisogno che qualcuno gli dica delle cose e che gli artisti si espongano e prendano posizione.
Gli artisti non prendono posizione? O non lo fanno abbastanza?
Colapesce: Ognuno coltiva il proprio orto. Noi lo facciamo perché corrisponde a quello che poi siamo nella vita di tutti i giorni. Non ci siamo mai nascosti e si è visto anche a Sanremo con Musica leggerissima, un brano che parla di depressione che non abbiamo scritto con l’intento di diventare virali, anche se è successo.
Dimartino: Ed è successa la stessa cosa con Splash, una canzone che parla delle aspettative. In questo momento il peso delle aspettative è il fulcro di tutto. E Ragazzo di destra è perfettamente aderente al nostro tipo di narrazione, come lo è in generale questo disco. Poi certo, ci sono diversi piani di lettura, ma alla fine è una canzone che dice qualcosa. Siamo convinti che, col tempo, soprattutto all’interno di un momento storico come questo, gli artisti inizieranno a scoprirsi maggiormente, a prendere posizione. Sono molto ottimista, ci sono le basi, perché abbiamo una cosa che si chiama libertà, e come stiamo vedendo non è assolutamente scontata. Qui c’è la libertà, prendiamocela e diciamo le cose.
Sempre parlando di Ragazzo di destra, è un brano dove emergono anche incomunicabilità e sicurezza, due emozioni-stati d’animo che sfociano l’una nell’altra. Come li vivete, come artisti? Capita, come nel caso di Musica leggerissima, che magari arrivi prima il ritornello orecchiabili e poi il vero e proprio messaggio del brano. Si crea una sorta di cortocircuito, no?
Colapesce: Siamo da sempre appassionati delle canzoni che hanno più vite. Noi a volte per scherzo lavorando in studio scriviamo delle bellissime canzoni inutili, che poi non pubblichiamo, che magari hanno solo un piano di lettura.
Dimartino: Di fondo tante nostre riflessioni sono basate sulle insicurezze personali. Abbiamo un sacco di debolezze e la nostra carriera si è basata proprio su quelle, che poi sono diventate un punto di forza. Siamo in un momento in cui c’è un ipercomunicabilità che poi diventa incomunicabilità. Ultimamente ragioniamo sul concetto della verità. Ci chiediamo dove sia.
Colapesce: Questa cosa non ci spaventa, perché è talmente oltre che naturalmente l’uomo tenderà a trovare dei momenti di verità e sincerità, riconnettendosi con la natura e le persone che hai affianco. Quello della realtà distopica non ci sembra un futuro possibile. Secondo noi tutto questo ci porterà ad una nuova consapevolezza, come diciamo anche nella prima traccia del disco, La luce che sfiora di taglio la spiaggia mise tutti d’accordo. L’emozione riunisce tutti, facendo in modo che si riconoscano come esseri umani, senza distinzioni tra alto, basso, africano e fascista.
A proposito dei “diversi piani di lettura”, ne I marinai mi sembra si tocchi anche il tema dei migranti.
Dimartino: Il testo lo ha scritto Ivan Graziani alla fine degli anni Ottanta, quando non c’era ancora l’immigrazione albanese. Il brano è stato scritto come omaggio ai pescatori di Fano, suo figlio ci ha donato questo inedito dove lui canta le strofe e noi abbiamo scritto i ritornelli. La cosa incredibile è che, effettivamente, parlando dei pescatori morti lui dice “mi guadagno il pane come tutti fanno per ogni figlio che è rimasto in mezzo al mare”. Una frase dedicata ai pescatori, ma che oggi risulta attualissima. È una canzone senza tempo e siamo felici di averci lavorato.
In 30mila euro c’è questa bilancia che vede da una parte le cose superflue e dall’altra quelle che contano davvero. Sembrerà banale, ma cosa per voi è superfluo e cosa invece conta davvero?
Colapesce: Con gli anni vai sempre di più a scremare. A vent’anni pensi che alcune cose siano necessarie, e crescendo smetti di pensarlo. Le preoccupazioni vai a sintetizzarle e diventa più importante godersi un bel pomeriggio, scrivere musica ed essere se stessi in quello che fai. Non va eliminato tutto il superfluo, ma gli dai uno spazio diverso. A volte è necessario, ma non deve sovrastare la nostra vita.
Dimartino: Quando ero piccolo c’erano tantissime cose che ritenevo fondamentali e ad un certo punto si sono rivelate inutili.
E quando eri giovane invece erano la prima cosa a cui pensavi al mattino.
Dimartino: Esatto, anche nei rapporti con gli amici, nelle dinamiche di comitiva che mi facevano soffrire, le gelosie. Tra l’altro 30mila giorni sono circa ottantadue anni, quindi quasi il doppio dell’età che abbiamo in questo momento, e i 30mila euro sono una cifra fastidiosa, perché non ti cambiano la vita, ma neanche sono pochi.
Colapesce: Tu cosa faresti con 30mila euro?
Probabilmente mi comprerei una macchina.
Colapesce: Ecco, e li hai già finiti.
Mi sono appuntata questa frase: “Fare l’amore con gli occhi è un pericolo che apre tutte le porte”.
Dimartino: L’ha scritta Joan Thiele. Noi abbiamo scritto la nostra parte, ma sentivamo che mancava una leggerezza, un aspetto sensuale. Abbiamo pensato ad una possibile soluzione e ci è venuta subito in mente Joan, una cara amica molto talentuosa.
Colapesce: Gli abbiamo dato carta bianca, perché ci fidiamo completamente di lei. Quando ti fidi spesso ti ritornano delle cose buone, anche perché metti l’artista nelle condizioni di poter lavorare meglio.
Dimartino: Lei ha scritto anche questa frase molto bella: “Stringimi, voglio sapere che cosa si prova davvero la notte se perdo il ricordo/È un presente che non ha mai fretta di esser diverso da ciò che non è/Diverso da ciò che non è”. Ci siamo accorti del significato mentre la cantava in studio. Certe volte quando senti le parole cantante assumo un altro significato rispetto a quando le leggi, ed è bellissimo. In questa canzone la voce di Joan che lancia il finale gli da quel tocco di sensualità di cui la canzone aveva bisogno e che ricercavamo.
Avete pensato di realizzare una versione solo strumentale dell’album? Ascoltando l’ultima traccia e in generale il disco ho provato a immaginarlo così.
Colapesce: È un disco molto musicale e la scelta del brano strumentale non è un “riempitivo”, lo abbiamo fatto con consapevolezza. Dopo aver fatto un percorso ricco di storie e parole, avevamo l’esigenza che la spiaggia si svuotasse e rimanesse solo l’ascoltatore, con questo sound che rievoca un po’ l’immaginario di Disintegration dei Cure, con questi suoni rarefatti e dreamy.
Dimartino: Avevamo anche pensato di metterci una voce parlata, però poi ci siamo resi conto che non c’era la necessità di aggiungere concetti ad un disco che è già pieno. L’abbiamo lasciata così, con questo andamento rarefatto che è proprio da Lux Eterna Beach.
Quest’anno avete vinto premi importanti per quanto riguarda anche il cinema, com’è per voi lavorare in questo settore? Ad un certo punto potrebbe diventare perfettamente complementare alla musica?
Colapesce: Non lo escludiamo, perché il cinema ci piace tantissimo. L’idea dei film è partita prima dei dischi, è un altro mestiere. Nel nostro film abbiamo scritto soggetto, musica e abbiamo registrato, è stato un impegno denso. È un contenitore completamente diverso dalla musica, e non escludiamo che faremo altre esperienze
Come vi state preparando per il tour?
Colapesce: Abbiamo già fatto una buona parte di prove e ci stiamo divertendo molto. Finalmente torniamo a suonare anche nei club, tra l’altro per la prima volta insieme, perché quando è uscito I Mortali era piena pandemia e penso siamo stati tra i pochi ad essere in tour in quel periodo, con mascherine e distanziamento. Diciamo che non abbiamo mai fatto un vero e proprio tour nei club.
Foto: Alessandro Treves
Digital Cover: Simone Mancini/Jadeite Studio
Coordinamento redazione: Emanuele Camilli
Ufficio stampa: MNcomm/Stefano DiMario