Un Submariner al polso di un uomo che porta lo smocking, la filmografia di Kubrick che si conclude con la parola “scopare”, i battiti per minuto di Heroin che salgono e scendono senza preavviso fino a sublimarsi in una cancellazione del concetto stesso di tempo. E poi ancora: lo strabismo di Venere e le perle – quest’ultime che nascono per contrastare un’infezione del mollusco. Cos’hanno in comune tutte queste immagini rubate qua e là in modo confusionario dai miei ricordi affollati? Risposta: sono tutte cose che apparentemente non dovrebbero essere armoniose ed eleganti, ma che invece, al netto della loro natura spuria, tendono ad esserlo. Quando si ha l’opportunità di prendere parte al grande rituale collettivo dello Spring Attitude Festival è evidente che i sapori – o, per meglio dire, le sonorità – agrodolci che compongono le portate sono esattamente quel genere di contrasto inaspettato che è in grado di trasformarsi in poesia candida e cristallina.
Se provassimo a posizionare su un cartesiano i vari artisti della line-up scopriremmo senza grande sorpresa che, ad esempio, gli headliner della giornata d’apertura del 23 settembre, che rispondono al nome di Peggy Gou e Verdena, prenderebbero posto in quadranti opposti. Stessa sorte toccherebbe magari a Moderat e Tutti Fenomeni, o Christian Löffler e Lucio Corsi. Insomma: nulla ha senso se usiamo l’algebra. Ma da uomo di inclinazione indissolubilmente umanistica, poso il cervello sullo scaffale e prendo il cuore tra le mani. Ora è chiaro che il fil rouge che connette ogni latitudine della grande offerta di Spring sia proprio davanti ai nostri occhi e alle nostre anime. Sono la qualità, la sperimentazione e, in ultima istanza, la sincerità del patrimonio di questi artisti a rendere improvvisamente tutto così coerente, giusto, perfettamente in equilibrio armonico. I parametri che veramente ha senso scomodare, semmai, sono la dilatazione delle pupille, la salivazione azzerata, le palpitazioni, la pelle d’oca. Perché andare ad un festival come lo Spring Attitude è un po’ come fare l’amore.
Un ragazzo di Oxford molto talentuoso di nome Thom, che peraltro speriamo un giorno possa solcare il palco di questo festival, cantava a cavallo tra il Duemila ed il Duemilauno Everything in Its Right Place ossia che ogni cosa (va) al posto giusto. Questo è ciò che succede a Roma da anni a questa parte, questo è ciò che succederà il 23 e 24 settembre negli studi di Cinecittà. Questa è, in conclusione, l’armonia paradossale ma imperitura degli opposti. Vadano a farsi fottere i fogli pieni di numeri ed equazioni: l’arte la vogliamo leggere a modo nostro. L’unico possibile.