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Non c’è nulla di umano in Travis Scott

Travis Scott al Circo Massimo cerca di togliere il superfluo, per raggiungere la forma perfetta, lo stadio finale

“Nirvana Unplugged in New York”, questa la scritta a toni sfumati rossi e gialli che campeggia sulla schiena del ragazzo davanti a me nel pit. A testimonianza del fatto che quando si parla di Travis Scott tutti gli stilemi e gli stereotipi si incontrano in un unico fascio di rette chiamato musica. C’è un ragazzo con la maglia degli Stones, uno addirittura con quella degli Smile. Eppure no: non c’è nulla fuori posto. Il Circo Massimo sembra stato adibito a naumachia, ma le onde sono umane. Quando il sole si arrende alle spalle del gigantesco golem di impalcature e line array, i sub woofer iniziano a scaldare le membrane, come un atleta prima del grande sforzo. Le luci giù: è notte fonda, poi una voce femminile che fa un duetto con le strobo, poi le lingue di fuoco, il fumo, infine Travis Scott.

Foto di 331des, via Instagram

È un iguana imperturbabile che si arrampica sulle colonne della scenografia, sembra tarantolato. Inizia ad urlare, a saltare, bruciare calorie. Dopo qualche canzone parla col pubblico, ringraziandolo, ed il lecito deficit d’ossigeno è preoccupante a tal punto che qualcuno è allarmato. Solo chi c’era (online o offline) può capire la natura irregolare del suo respiro. Come uno scalpello che leviga il marmo, è come se spaccandosi il corpo Travis stia cercando di togliere il superfluo, fino a raggiungere la forma perfetta, lo stadio finale. È perennemente in controluce, a generare una silhouette che lo rende un guerriero medievale elevatosi a semidio. Non c’è nulla di umano in Travis Scott. Lo stage è un vulcano in eruzione e tutto lascia presagire che sarà uno show epico. Mancherebbe solo qualcosa per raggiungere l’iperuranio, qualcosa di inimmaginabile. A dirla tutta i ragazzi accanto a noi lo avevano immaginato, eccome, già dal tardo pomeriggio, quando avevano iniziato a fantasticare e googlare: “Kanye West, vacanze Italia 2023”. In effetti la notte perfetta esiste, perché le note di Praise God – a cui seguirà Can’t Tell Me Nothing – risuonano tra i corpi e poi su tra le facciate dei palazzi capitolini.

Foto di 331des, via Instagram

Sale YE, incappucciato come un tuareg. È un’aura indescrivibile quella che avvolge i due sullo stage, tanto che il popolo di Travis per un attimo scolla via gli sguardi dal re, per puntarli sull’Imperatore. «There is no Utopia without Kanye West. There is no Travis Scott without Kanye West. There is no world without Kanye West», con queste parole che suonano come un manifesto esistenzialista, Travis omaggia YE, prima di stringerlo in un abbracciarlo caloroso che metaforicamente è un abbraccio con i cinquantamila presenti. Arrivano le hit: da Butterfly Effect a Highest in the Room, da Sicko Mode a Goosebumps. Quest’ultima è un inno generazionale, una preghiera cantata che, in un rito pagano e collettivo, connette veramente tutti, ad ogni latitudine del globo terracqueo. Cos’è la musica, se non esattamente questo?