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I Red Hot Chili Peppers agli I-Days hanno superato la prova del tempo

I Red Hot Chili Peppers sono invecchiati terribilmente bene e lo dimostrano con uno show epico sul palco degli I-Days.

Giusto quarantotto ore prima, stessa location (l’Ippodromo La Maura), Travis Scott aveva infiammato – metaforicamente, visto che eravamo tutti fradici dopo una giornata sotto l’acqua – gli 80mila presenti con uno show che, a mente fredda, aveva lasciato un retrogusto amarognolo. Torno sul luogo del delitto per la chiusura della seconda settimana degli I-Days, in programma gli headliner sono i Red Hot Chili Peppers. Annunciate 70mila persone circa, la temperatura è decisamente più alta rispetto a venerdì, l’età media del pubblico si è notevolmente alzata ed anche la tipologia di persone presenti. L’ultima volta a Milano risaliva al 2017, un’eternità se pensiamo a cosa c’è stato nel mezzo. Anche per questo la folla è in attesa spasmodica, e l’apertura degli Skunk Anansie, con la potentissima voce di Skin, non fa altro che incrementare il volume e l’estasi dei tantissimi presenti. E quando finalmente scoccano le nove e mezza, puntuali, come nessun altro nei giorni precedenti, arrivano loro. E (spoiler) va tutto oltre le più rosee aspettative.

Flea arriva camminando sulle mani, John Frusciante, in barba al clima torrido, ha i calzettoni lunghi, Kiedis è sempre Kiedis e, arrivato a sessant’anni suonati, mostra un invidiabile, folto baffo. Poi c’è Chad, che inizia a percuotere la batteria come se dovesse sfondarla sin dal primo secondo del live. E da subito, con Around the World, ci fanno tornare indietro nel tempo, ai tempi in cui il rock dominava gli ascolti di tutti, quando bastavano le prime due note di giro di chitarra e riconoscevi immediatamente il brano che stava per iniziare. Incredibile come siano invecchiati terribilmente bene, a dispetto dei problemi di salute del frontman o della vita sempre agli eccessi vissuta da Chad o Flea (caldamente consigliata la biografia di Kiedis, Scar Tissue). Incredibile come riascoltare determinati brani equivalga ad un salto nel tempo, riportandoci indietro di venti e più anni, a quando Californication era solo una hit e non, anche, una delle serie televisive più iconiche mai uscite. L’ora e mezza successiva, con annessa risalita sul palco per il bis (Travis, prendi nota, che la prossima volta non te la cavi con un’ora appena), è un susseguirsi di accordi, strani balletti, tete a tete tra Flea e John. Jam session a due in cui ognuno suona la sua musica, ma l’incontro tra basso e chitarra è quasi erotico, per le sensazioni che ti trasmette. Quei due riescono persino a tenere il palco da soli, dando attimi di prezioso respiro ad Anthony Kiedis, che dio solo sa quanto ne ha bisogno.

E la folla, durante questi intermezzi, è estasiata da quello che ascolta, dai movimenti ipnotici che pizzicano le corde, dagli assoli che ne fuoriescono. La scaletta lascia poco spazio agli ultimi due dischi, pubblicati lo scorso anno: giusto Eddie e Carry Me Home, direttamente da Return of the Dream Canteen, ci trovano posto. Per il resto risaliamo addirittura a più di tretancinque anni fa, con Me & My Friends. Ma i brani iconici che restano fuori sono tanti, basti pensare a Under the Bridge o Aeroplane. Ma tanto basta, arriviamo alla chiusura tutti esaltati, tra Flea che battezza la luna piena che sovrasta San Siro come “a balloon” e Chad che esclama «grazie, motherfuckers!» prima di lanciare tra il pubblico le sua preziose bacchette, divenute sicuramente un cimelio inestimabile per i fortunati che le hanno afferrate. Questo sono i Red Hot Chili Peppers nel 2023: un gruppo senza tempo, che nonostante l’età ha segnato tutti noi. E che, a sessant’anni suonati, tiene il palco alla grande.