Non sono mai stato un asso della Fisica, per quanto la trovassi interessante e magnetica. Ma ricordo questo celeberrimo aneddoto del treno che ci permetteva di capire cosa fosse un sistema di riferimento. Per chi non ne sa proprio nulla, si potrebbe sintetizzare dicendo l’ovvietà per la quale restare immobili su un treno fermo o su un treno in movimento fa tutta la differenza del mondo in termini di spostamento nello spazio. Ma se il sistema di riferimento non è il pianeta Terra, ma bensì il treno, beh allora fisicamente parlando non c’è differenza. Questo per dire che ogni concetto espresso in questa recensione può sortire risultati diversi in funzione del suo sistema di riferimento. Se infatti stiamo parlando di un disco internazionale – come la band e tutto il suo staff hanno precisato, non concedendo praticamente nulla ai giornalisti italiani – siamo di fronte ad un disco imparagonabile a quelli di Fontaines D.C. o IDLES (per citare le prime due rock band contemporanee che mi sono passate per la testa). Se però ci riserviamo di considerarlo un disco italiano, perlopiù pop-rock, allora tutto cambia improvvisamente – un po’ per l’indubbia mancanza di competitors (parola che non amo ma che ha senso quando si parla di progetti strutturati lato marketing come i Måneskin) e un po’ per la innegabile qualità che contraddistingue Rush!: il secondo lavoro in studio della band romana, scritto triangolando tra Los Angeles, Tokyo e città italiane. Disco che proviamo a raccontarvi track by track, classificando tutti i brani – come di consueto – dal peggiore al migliore.
17. Bla Bla Bla
Un riff di basso alla Gorillaz, una produzione alla The White Stripes, una linea vocale che cita i Talking Heads di Psyco Killer, ma imita Iggy Pop. Sembrerebbero delle premesse importanti, ma totalmente velleitarie. Ecco perché la promessa con gli artisti è totalmente disattesa. Brano mediocre senza testo che vuol giocare ad essere qualcosa di ironicamente iconico (alla Song 2, per intenderci) senza – a parere del sottoscritto – riuscirci davvero.
16. Baby Said
Brano che ci riporta nella zona di comfort. Ma senza reali guizzi, se non nel pre-chorus in cui i Måneskin danno prova di avere buon gusto nella scelta del suono delle chitarre. Per il resto, tutto molto piatto. Non ci si può porre come una band internazionale e poi pubblicare un pezzo così provinciale. Sorry for that!
15. Mammamia
Ingiustificabile la scelta di estrarre questo brano come singolo di lancio di Rush!. Brano privo di profondità espressiva e formale. Indubbiante orecchiabile ma – verrebbe da dire – per via della monotonia che impera in questo brano insufficiente perché senza un minimo di ricerca sonora, tematica o di arrangiamento.
14. Own My Mind
Il disco si apre con questo brano in classico stile Måneskin. Nulla di nuovo. Totalmente dimenticabile ma in grado di far sentire nella comfort zone i fan di vecchia data della band. Live potrebbe riservare gioie inaspettate.
13. Mark Chapman
Brano che mette in mostra purtroppo la differenza sonora tra lingua italiana ed inglese. Nel ritornello, proprio per trovare delle linee melodiche anglosassoni, si sfocia in qualcosa di complesso da digerire (e da comprendere fino in fondo, poiché le parole sono un po’ nascoste dalle scelte di mix e dall’effetto sulla voce). Il brano si riprende nel finale.
12. Feel
In questa tracklist si torna, spesso e purtroppo, a casa. Feel è l’ennesimo brano stereotipato con i pre-chorus in cui la cassa solitaria fa da trampolino per un motivetto orecchiabile che ricorda i Kasabian più pop. Brano che cita la cocaina ma che non sortisce alcun effetto stupefacente.
11. La fine
Se la reference era Zitti e buoni, questo scherzo non è divertente. In un’epoca in cui su TikTok vanno di moda versioni slowed, sarebbe praticamente impossibile distinguere i due brani. Peccato perché, a parte il riff identico, qualche spunto sonoro c’è, specie nella cazzimma di Damiano, che irrompe con veemenza in questo brano di fruizione piacevole ma comunque non in grado di incidere come un singolo dovrebbe fare. Sufficienza di incoraggiamento, in attesa del secondo quadrimestre.
10. Read Your Diary
Pezzo più moderno degli altri dello stesso stampo. Se infatti il disco è chiaramente composto da tre tipologie di brani (ballad, classic rock e alternative rock) questo si colloca a metà tra il classic e l’alternative ma con degli spunti interessanti, come ad esempio la chitarra piena di flanger che ricorda i Nirvana (seppur quelli più stereotipati). Come è logico che sia, non scomodiamo certi mostri sacri, poiché il brano è comunque troppo patinato, specie per una rock band globale come i Måneskin. C’è dunque sempre un sottofondo nauseante di pop dolce. Più o meno come quando si entra nei negozi di profumi e se ne esce storditi e non più in grado di distinguere una cosa dall’altra.
9. Supermodel
Anche per colpa di questo brano sarà impossibile per ognuno di noi dimenticare che con la rete ultra veloce di Tim abbiamo minuti, sms e giga illimitati. Insopportabile refrain delle nostre vite, questo pezzo è tutto sommato più che accettabile. Forte il richiamo a Smells Like Teen Spirit, ma non è il caso di gridare al plagio. D’altronde, chi non ha surfato tra l’omaggio e il plagio almeno una volta? Pensate che con Come As You Are lo stesso Kurt si avvicinò talmente tanto a Eighties dei Killing Joke da essere stato ad un passo dal privarci di uno dei suoi capolavori. Fortunatamente non andò così. E, giustamente, anche i Måneskin pubblicano suscitando il sorriso beffardo dei genitori dei loro coetanei.
8. Don’t Wanna Sleep
Brano uptempo che fa muovere i corpi e che, al netto di un breve momento in cui si sente un celato ritmo latineggiante, si rivela tutto sommato godibile. Un breve assolo di chitarra distorta alla Slash arricchisce questo pezzo, rendendolo piacevole seppur non indimenticabile. Anche qui, live, potrebbe alzarsi il voto.
7. Il dono della vita
Buon pezzo, seppur prevedibile. Interessante nelle transizioni tra i diversi momenti della canzone. Lievemente sopra la media anche grazie ad un assolo di chitarra che può – se ben suonato live – risultare un plus divertente e godibile. Testo di notevole fattura e interpretazione intensa anche se magari non perfetta tecnicamente per i professionisti del canto. Al sottoscritto, onestamente, non frega proprio nulla. Quando i Måneskin dimenticano le regole, alzano l’asticella.
6. Gossip
Collaborazione con Tom Morello dei Rage Against the Machine. Aspettative alte, forse troppo. Brano divertente che farà ballare nei live i fan della band quasi quanto gli stravaganti attori nel videoclip a cura di Tommaso Ottomano. Quello sì, quasi inattaccabile. Peccato che sia nelle immagini che nei suoni ci siano molti (troppi?) stereotipi delle rockstar. Ma lo abbiamo perdonato ai Guns N’ Roses, lo perdoneremo anche a Damiano, Thomas, Victoria ed Ethan.
5. Timezone
Tutto sommato è un buon pezzo pop rock che ricorda abcdefu di Gayle. C’è un breve assolo di chitarra che si inserisce in questo flusso in cui gli stop ritmici la fanno da padrone. Non sarà Timezone a salvare il rock, ma di certo non sarà lei a finire “tre volte inchiodata nel legno”, per citare un genovese che all’estero ci è arrivato anche senza Tom Morello e senza operazioni di marketing multimilionarie. Un altro Thom (ma con l’h) lo ha inserito in una sua playlist Spotify, e questo – delle volte – vale più di tanti dischi di platino. Ma questa è un’altra storia.
4. Gasoline
Brano violento di rara bellezza, in grado di trasportare l’ascoltatore all’interno di un’atmosfera gotica e al contempo sofisticata. Immaginate i cori di This is War dei Thirty Seconds to Mars in un letto di croccante metal. Impossibile non sentire un certo richiamo alla linea melodica di Sweet Dreams, ma la vera influenza da cui Damiano e soci sembrano aver raccolto ispirazione è il mondo sonoro degli IDLES.
3. The Loneliest
Brano molto centrato che unisce epicità a riconoscibilità sonora. Ritornello che è già un classico e performance vocale di Damiano sopra la media. Tra i singoli, sicuramente il più azzeccato perché in grado di prendere tra le sue possenti braccia un pubblico ampio e diversificato. Il testo struggente è senza ombra di dubbio uno dei migliori di Rush!, seppur in passato le migliori liriche fossero quelle in lingua italiana.
2. Kool Kids
Un pezzo che strizza l’occhio allo spoken word degli IDLES. Anche dal punto di vista sonoro siamo in quel mondo. Ancora basso cattivissimo, ancora distorsioni violente e spaesanti. Il brano più alternative del disco. Molto bello sotto ogni punto di vista.
1. If Not For You
Ballad chitarra elettrica e voce estremamente interessante. Linee vocali stupende incorniciano questa perla che è la vera grande scoperta di questo disco. Con la frase “No more Nirvana/No Billie Jean” entra in gioco un suggestivo contrabbasso che – ironia della sorte – sembra proprio qualcosa di simile a Something In The Way. Poi arriva la batteria, arrivano gli archi, ma l’eleganza del brano resta immutata. Probabilmente il miglior brano dei Måneskin dai loro esordi.