Trovare a tutti i costi una definizione o un motivo per incasellare Adele nel nostro presente musicale, finirebbe per essere pretenzioso. Sicuramente è una delle voci bianche più potenti del soul britannico, affiancando nomi del calibro di Amy Winehouse e Duffy. Il lancio dei suoi progetti musicali è sempre stato visto come un evento epocale, capace di spostare l’attenzione del grande pubblico – e dei suoi stessi colleghi – per tutta la durata di una campagna promozionale, a colpi di singoli, videoclip, ospitate televisive e premiazioni. Abbiamo voluto riordinare la sua discografia, ripercorrendo la vita di una donna divisa tra la dimensione pubblica e quella privata, tra i momenti più felici e difficili della sua vita. Sono pochi gli artisti che sanno raccontarsi con grande potenza vocale e al contempo con un’emotività intensa, struggente, che ti toglie il fiato. Dal suo debutto con 19, al più recente 30.
4. 25
Il terzo capitolo della quadrilogia della cantautrice britannica ha segnato il suo ritorno sulla scena musicale dopo il successo senza precedenti di 21. Registrato tra Londra, New York, Los Angeles e Virginia Beach, il disco vanta il contributo del produttore Rick Rubin e di uno degli autori pop per eccellenza, ovvero Ryan Tedder. Nonostante il blocco dello scrittore sperimentato in prima persona della stessa Adele tra il 2013 e il 2015 – anno di uscita dell’album – durante le sessioni di scrittura di 25 nascono alcune delle gemme più preziose della sua discografia: da Hello a Water Under The Bridge, passando per When We Were Young e Send My Love (To Your New Lover). Il minimo comune denominatore tra tutti questi brani? La potenza vocale della loro interprete e gli arrangiamenti costruiti con estrema cura intorno a ciascuna storia, per esaltarne le parole e per trasmettere nel modo più crudo e autentico possibile cosa significhi avere 25 anni. Inserire questo disco all’ultimo posto della nostra classifica può essere visto come un gesto blasfemo, considerato che fin dal suo annuncio era stato definito il disco dell’anno, eppure ad oggi rimane l’album meno convincente dell’artista dei record. Troppa pressione nel realizzarlo? Troppe aspettative da parte del suo pubblico? Forse.
3. 19
19 è la parte più adolescenziale di Adele, camuffata sotto una voce matura, affilata come un coltello, evocativa e ricca di malinconia. Il debutto della cantautrice per XL Recordings, etichetta indipendente che le consente di muovere i primi passi nel mondo della musica, è semplicemente sensazionale: numero uno nella Official Albums Chart britannica, otto dischi di platino e oltre due milioni e mezzo di copie vendute. Lavorando con producers del calibro di Eg White, Sacha Skarbek e Jim Abbiss, la cantante mescola sonorità indie-pop e folk-rock, blues e jazz, offrendoci una finestra su tutti gli alti e bassi che hanno contraddistinto la sua vita dopo il diploma presso la BRIT School di Londra. 19 è il punto di partenza di una carriera che, a distanza di 14 anni, è più solida che mai. Nell’arco di un anno, Adele viene nominata per il prestigioso Mercury Prize, vince un European Border Breakers Award e due Grammy Awards nelle categorie Best New Artist e Best Female Pop Vocal Performance. Il brividino lungo la schiena che si prova nell’ascoltare pezzi come Chasing Pavements e Make You Feel My Love – cover del celebre brano di Bob Dylan – è assicurato.
2. 30
Parafrasando un passaggio de Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, la sintesi perfetta di questo quarta fatica della cantautrice londinese potrebbe essere: «Nel bene e nel male, purché se ne parli». 30 è stato un album che ha generato dei sentimenti a dir poco contrastanti nelle orecchie dei suoi fan. C’è chi ha gridato allo scandalo, perché le conversazioni a cuore aperto con il figlio Angelo sono fin troppo intime per essere masterizzate e finire in un prodotto venduto sul mercato; ma c’è anche chi ha definito il suo comeback qualcosa di strepitoso e troppo bello per essere vero. Sicuramente, l’ultima prova di Adele è il suo disco più pop e contemporaneo in assoluto. Il coinvolgimento di Max Martin e Greg Kurstin nella sua realizzazione – specialmente in brani come Can I Get It e Oh My God – e le sedute di registrazione a cavallo tra il Regno Unito e gli Stati Uniti, ci hanno regalato un album crudo. Un viaggio al centro dell’universo di una donna che ha dovuto fermarsi per ritrovarsi.
1. 21
Chiudete gli occhi e pensate ad Adele. Cosa vi viene in mente ancor prima di averli riaperti? Sì, stiamo parlando di 21, il disco per eccellenza dell’epopea in quattro atti dell’artista cresciuta tra le vie di Tottenham Court Road. Considerato uno degli album di maggior successo di tutti i tempi, nonché il più venduto del ventunesimo secolo con circa 31 milioni di copie, 21 ha aperto la strada al fenomeno Adkins così come lo conosciamo oggi. Ogni canzone, sapientemente condita tra soul, pop e jazz, corrisponde al pezzo di un puzzle che si incastra perfettamente nello storytelling di una ragazza giunta al termine di una lunga storia d’amore. Ogni respiro, ogni suono e ogni parola di quanto viene ascoltato in 21 è una parte fondamentale dell’essenza della cantautrice vista sotto una luce diversa. Brani come Someone Like You, Rolling In The Deep e Set Fire To The Rain, passati tra le sapienti mani di Eg White e Rick Rubin, fanno ormai parte di un repertorio destinato a trascendere il tempo. Il loro ascolto prolungato ci ha fatto capire – o accettare, dipende dai punti di vista – che spesso e volentieri i sentimenti più discussi o stereotipati in mille salse, sono quelli che arrivano più dritti alla pancia delle persone. «Tratto le cose in modo diverso ora. Sono molto più paziente, più onesta, più tollerante e più consapevole dei miei difetti, delle mie abitudini e dei miei principi. Credo sia una cosa che viene con l’età», aveva raccontato Adele.