Abbiamo tutti paura. Ci sono le paure immediate, con cui conviviamo quotidianamente, che hanno a che vedere con la nostra condizione socioeconomica o le nostre relazioni sentimentali. Ci sono poi le paure più profonde, quelle che ci accompagnano costantemente e di cui spesso facciamo fatica a liberarci. La paura di essere inadeguati per questo mondo, la paura di invecchiare troppo presto, la paura di sbagliare. Si tratta di un tema indubbiamente attuale, dato lo stato di permanente incertezza a cui ci siamo dovuti abituare nel corso degli ultimi anni, ma è altrettanto indubbio che la paura sia un tema che Ernia sente suo da diverso tempo: già nel 2018 intitolava La paura il brano conclusivo del suo secondo disco ufficiale, 68. Da quella traccia sono passati quattro anni, e nel frattempo Ernia è diventato una delle figure più note e stimate nel panorama musicale nostrano, grazie – e soprattutto – a Gemelli, uno dei progetti più apprezzati degli ultimi anni. Per quanto riguarda la paura, però, siamo ancora lì. Io non ho paura, il nuovo disco di Ernia, è indubbiamente uno dei progetti più attesi dell’anno, perché al di là dell’indubbia qualità che il rapper milanese ha sempre dimostrato in studio, non ha mai avuto così tanti riflettori puntati su di sé. D’altronde, non è da tutti accumulare quattro dischi di platino per un album e altri dieci per i singoli, oltre a cinque dischi d’oro. E quando c’è da fare il passo successivo, non è facile resistere alla tentazione di tentare di ripetere una formula che ha funzionato.
È sicuramente troppo presto per capire se Io non ho paura potrà avvicinare o addirittura superare il successo – a livello di numeri – di Gemelli, ma intanto una considerazione generale si può fare: è un disco diverso. La proprietà di linguaggio, l’incisività delle rime e la versatilità sono gli stessi a cui Ernia ci ha abituato fin dai tempi di Neve, ma il disco contiene elementi che finora nella sua carriera non si erano mai visti. La paura – concetto intorno al quale ruota l’intero progetto – suona un po’ come una speranza e un po’ come una preghiera. Ogni traccia può essere considerata come parte di un affresco, un insieme di alcune delle paure che accomunano la generazione di Ernia, che nella traccia di apertura viene identificata nella dicitura “middle child”, ovvero figli di mezzo, troppo vecchi per essere giovani e troppo giovani per essere vecchi: “Giro l’angolo e ho trent’anni/È questo il futuro che sognavo?”, si chiede l’artista in Rose e fiori. Il disco, però, non parla propriamente ai figli di mezzo. Anche se il punto di partenza è l’esperienza personale dell’artista, ci sono diversi spunti in cui anche il pubblico più giovane può riconoscersi, perché alla fine, molte delle paure a cui sono esposti i giovani sono le stesse dei middle children. Il presupposto, espresso in Tutti hanno paura in collaborazione con Marco Mengoni nella frase “il trend è vestirsi da pelle d’oca”, è che la paura appartiene tutti. C’è la paura della monotonia di Weekend (“Pensavo che per la routine servisse coraggio, che non ho/Però poi anch’io mi sono convinto a stare qui/Sai che c’è, viviamo solo il weekend”), dell’amore in Il mio nome e Acqua tonica e c’è la paura dell’inadeguatezza che emerge in L’impostore e Rose & fiori.
C’è poi Buonanotte, indubbiamente una delle tracce più intense del disco e forse uno degli episodi più impressionanti dell’intera carriera di Ernia, una lettera a un figlio mai nato, uno storytelling commovente e incisivo su una gravidanza non portata a termine che evidentemente risale al ricente passato di Ernia. “Mi hai dato un bel mal di testa/La paura di sbagliare sai paralizza la scelta/Perdonami davvero ma se abbiamo preso questa/È stato anche per non doverci ritrovare ostaggi della stessa”, rappa Ernia alla fine del pezzo sulla minimale produzione di pianoforte costruitagli da Junior K. A livello musicale, si tratta di un disco piuttosto variegato. Si passa dal rap puro di Bu! e Così stupidi a episodi più pop come Bella fregatura e Weekend. In mezzo, c’è grande varietà, dalla malinconia di Rose & fiori all’angoscia che trasmette Non ho sonno. Le produzioni, affidate a Junior K e a 6IXPM, sono particolarmente azzeccate e, avvalendosi anche dell’utilizzo di campioni come O Fortuna di Giuseppe Verdi e Stupidi di Ornella Vanoni, si dimostrano particolarmente originali. Piuttosto azzeccata anche la maggior parte delle collaborazioni. Spicca sicuramente il rapper napoletano Geolier in Acqua tonica, probabilmente uno degli episodi più riusciti del disco, e la combinazione di Gaia e Gué in Bastava la metà, traccia quasi cinematografica in cui i due rapper ripercorrono il proprio percorso nella città di Milano accompagnati da un ritornello ipnotico dell’artista italo-brasiliana. Riuscitissimo anche il featuring con Marco Mengoni che apre il disco con la giusta possenza e atmosfera. Meno memorabili invece le collaborazioni con Rkomi e Salmo, che comunque rendono più godibili Qualcosa che manca e Cattive intenzioni.
Io non ho paura è il miglior album ad oggi del rapper milanese e probabilmente ci accompagnerà nei prossimi mesi. Non solo però: a differenza di tanti progetti che ci accompagnano per alcuni mesi e poi scompaiono, questo è un disco che potrebbe essere attuale anche tra diversi anni. Questo perché è sì figlio del periodo storico in cui è stato scritto, ma è anche figlio di considerazioni più profonde che arrivano da lontano e rimarranno. Ernia ha dimostrato la capacità di cambiare lasciando il suo inconfondibile imprint. Forse non si libererà delle sue paure, ma pubblicando un disco del genere potrà prenderne consapevolezza, trovando nuovi modi di canalizzarle.