Avete mai visto Squid Game? Io no. O meglio, non subito. L’ho tenuto nella lista di serie da recuperare per mesi, ma poi, su insistenza del Mondo che ne acclamava il genio, l’ho visto, e mi sono domandato perché non lo avessi fatto prima. Ecco, Cesare Cremonini ha avuto quello che chiamo “l’effetto Squid Game“, e dopo essere stato al suo primo live romano mi sono chiesto perché ho aspettato tutti questi anni per vederlo dal vivo. Eppure ne ero già consapevole: Cremonini, live, è un fenomeno. A testimoniarlo sono le stesse date del tour. Dodici concerti nei tre principali palasport italiani, che per la grande richiesta sono stati triplicati e quadruplicati in tutte le città. Il pubblico è in uno stato febbrile già dalle prime battute dello show. Cesare comincia la serata con un brano recente, La ragazza del futuro, ma la partecipazione è talmente alta che a stento si riesce a sentire la voce del cantante bolognese. Eppure Cesare c’è. Lui non canta al pubblico, ma col pubblico, dal parterre alla piccionaia. Accendendo le luci dice: «Questo è un momento bellissimo del concerto perché finalmente vi vedo tutti negli occhi, fino al terzo anello lassù».
Lui nomina spesso questo terzo anello, quello più lontano, con una visibilità più ridotta. Non è un caso, anzi. Lo sprona a cantare, a partecipare, come a voler ribadire che persino l’ultima persona in cima al palazzetto ha diritto alla sua prima fila in questo concerto magico. E riesce in questa magia: siamo tutti occhi negli occhi con lui. Il concerto continua, tra momenti Woodstock (in cui volano non pochi reggiseni sul palco) e altri invece più intimi, raccolti. La nuova stella di Broadway è un trionfo di emozione, palpabile, fisico, come una grandinata inaspettata. Cesare si dona, e Roma risponde – «Ho ancora i brividi a pensare al concerto di questa estate allo Stadio Olimpico. Voglio dire una cosa, che non è la solita cosa che dicono i cantanti, ma un qualcosa che i miei fan di Roma sanno da sempre: io ho un rapporto particolare con questa città. Prima del tour negli stadi, anche se c’erano Imola, San Siro e concerti magari più altisonanti, io continuavo a dire ai miei amici: ragazzi, lasciate perdere, venite all’Olimpico. Ed è strano, perché quando vai a Roma dovresti avere un po’ di timore difronte all’Olimpico così pieno. Però, non so perché, io coi romani non ho mai paura. È come se sentissi costantemente questa voglia di stare insieme, di divertirci», dice. Fuoco, luci ed effetti speciali riempiono tutto il concerto. Mi ritrovo più volte a bocca aperta come un bambino davanti l’inaspettata bellezza di uno spettacolo circense.
La cascata di scintille su Poetica è la prova tangibile che un team di lavoro eccezionale può fare la differenza, e che ciò che accade sul palco non è neccessariamente una cornice plastica, ma il senso stesso dello show che offre. Il culmine è sicuramente l’entrata in scena di delfini che fluttuano e danzano nell’aria sorvolando il pubblico. Una tecnologia unica nel suo genere e mai vista in uno spettacolo italiano. Una luna rotea sulle nostre teste durante il brano Moonwalk, dedicato a suo padre. L’insieme di delicatezza e magia crea uno dei momenti più belli mai visti sul palco romano, capace di concorrere coi grandi spettacoli live d’oltreoceano. Uno show unico in cui vengono ripercorsi gli oltre vent’anni di carriera di un musicista, con un repertorio di canzoni senza tempo. Non manca di ricordare il successo avuto coi Lùnapop, e i suoi brani storici, tra cui C’è qualcosa di grande e, ovviamente, 50 Special, lasciata nel segmento finale del concerto. Un giorno migliore chiude il concerto, nella commozione generale. Dagli spalti una standing ovation meritatissima. Roma stasera è tutta per lui. Mi alzo anche io, visibilmente scosso. Grazie Cesare, e scusa se ho aspettato tanto.
Foto di Valeria Magri