Non importa la loro convinzione di non essere mai stati una band dark: è un dato di fatto che l’unico modo per arrivare al concerto dei Cure sia quello di seguire gruppi di goth vestiti e truccati di tutto punto. L’Unipol Arena di Bologna ospita la prima data italiana del tour europeo – che si sposterà stasera a Firenze, poi Padova e Milano nei prossimi giorni, tutte rigorosamente sold out – e al suo interno si trovano persone di ogni generazione. Ad aprire la serata gli scozzesi Twilight Sad, già in tour con i Cure da vario tempo. Ascolto la voce e il suono distorto delle chitarre, chiudo gli occhi ed è quasi come se Ian Curtis fosse ancora vivo. Il post-punk non è un semplice sottogenere appartenente a qualcosa di più ampio, è un vero e proprio culto made in England nato dal lato più oscuro della letteratura e del malessere umano. È la musica di chi si sente outsider della propria anima, e i Cure raccolgono l’eredità dei Joy Division forse più di chiunque altro portando chi suona e chi ascolta a uno stato di catarsi che in quegli anni sembrava impossibile raggiungere.
Durante l’attesa il suono della pioggia in sottofondo, poi il concerto che inizia con una nuova canzone, Alone, in cui Robert Smith canta “This is the end of every song that we sing” e l’atmosfera si fa subito più suggestiva. Poi arrivano altri nuovi brani, Endsong, And Nothing Is Forever, I Can Never Say Goodbye, a dirci che il nuovo album in studio dei Cure – il quattordicesimo della loro carriera – forse è veramente dietro l’angolo. Il pubblico ascolta in silenzio quasi religioso sia le canzoni più recenti che quelle più storiche, catturato completamente dalla combo di suoni, luci ipnotiche, immagini su schermo e illusioni ottiche. Smith ringrazia i fan, interagisce, si prende un momento per ricordare il quarantesimo anniversario della pubblicazione di Pornography e decide di celebrarlo eseguendo A Strange Day. Altra grande occasione è riservata a Faith, suonata nuovamente dopo undici anni. Viene lasciato spazio al resto del gruppo, Jason Cooper alla batteria guida gli altri su Burn – chissà a quante altre vite è riuscita a dare un senso la colonna sonora de Il corvo.
Qualcuno balla, qualcuno immortala per sempre i momenti in un video, altri si abbracciano su Pictures Of You ma è su A Forest che l’intera Unipol Arena si scatena. Il secondo encore è una scarica di adrenalina pura: ecco una dopo l’altra Lullaby, The Walk, Friday I’m In Love, Close To Me. In chiusura il trio In Between Days, Just Like Heaven e Boys Don’t Cry. Nessuno si muove dal proprio posto, tutti ne vorrebbero ancora dopo due ore e mezza di spettacolo ma niente è per sempre e le luci si riaccendono. In testa un pensiero, probabilmente condiviso: è il 31 ottobre, tra i giorni preferiti dell’anno per chi ama i Cure, il post-punk e la subcultura goth. È come fosse contemporaneamente il Natale e il San Valentino dei dark, la celebrazione assoluta: più epico di un live dei Cure, c’è solo un live dei Cure la notte di Halloween.