Dai banchi di scuola alla Rock & Roll Hall of Fame: i Red Hot Chili Peppers sono ad un passo dal festeggiare i quarant’anni della loro esistenza come band, tra le più influenti nel panorama alternative degli anni Novanta, ancora perfettamente in piedi dopo crisi, dipendenze, divergenze e dischi più o meno riusciti.
13. The Getaway
Secondo e ultimo disco con Josh Klinghoffer, è presentato dal singolo Dark Necessities nel quale la linea di basso ripercorre un po’ la linea melodica della Can’t Stop del decennio precedente. Complice forse la produzione di Danger Mouse, già produttore di Gorillaz e Beck ma più abituato al suono della drum machine, l’album risulta piatto rispetto a qualsiasi suo predecessore. Il pezzo che più funziona, fortunatamente soprattutto dal vivo, è Go Robot.
12. The Red Hot Chili Peppers
Il disco di debutto, lì dove tutto è cominciato, le radici del crossover tra rap, rock, black music e funk. Peggiore (o quasi) non è la parola che più gli si addice, si potrebbe semplicemente definire immaturo: i Red Hot Chili Peppers non sanno ancora bene chi sono o dove vogliono andare, il sound va raffinato. Più che un disco, è il risultato delle ore passate in sala prove tra un’improvvisazione e l’altra. Baby Appeal e Get Up and Jump ne sono, ad esempio, la prova sonora.
11. I’m With You
John Frusciante decide di dedicarsi alla sua carriera solista: i Red Hot Chili Peppers attraversano un cambiamento di formazione che li porta a lavorare con Josh Klinghoffer in occasione del loro decimo disco, che più mostra le sue doti nelle parti di chitarra distorte di Factory of Faith e Did I Let You Know. Nonostante la produzione di Rick Rubin, l’assenza di Frusciante influisce molto sul sound finale del lavoro; ad ogni modo lo stile del gruppo è ormai maturo e marcato, come dimostrano Look Around e The Adventures of Rain Dance Maggie.
10. The Uplift Mofo Party Plan
Il loro primo album ad entrare nella classifica Billboard 200, oggetto di controversie anche all’interno della stessa casa discografica vista la volgarità dei contenuti proposti, e l’ultimo suonato nella formazione originaria. È con questo che la band conquista definitivamente il pubblico di Los Angeles, nel quale si trova anche Frusciante. Siamo nel 1987, l’anno di Fight For Your Right dei Beastie Boys; solo un anno prima invece esplode Walk This Way, il duetto tra Aerosmith e Run-DMC. Il rap rock è quindi una realtà ormai ben solida a cui i Red Hot Chili Peppers si ispirano per pezzi come Fight Like A Brave e Backwoods ma il sound può maturare ancor di più, come accadrà in Mother’s Milk.
9. Unlimited Love
Dodicesimo album in studio, successore di I’m With You e The Getaway con Josh Klinghoffer alla chitarra, il quale esce definitivamente nel 2019 per fare nuovamente spazio a Frusciante. Come affermato da Flea, il lavoro con lui è più facile dal punto di vista artistico: a giudicare da pezzi come Black Summer, Whatchu Thinkin’ e Let ‘Em Cry, il disco infatti non è altro che una lunga jam session, un continuo go with the flow, come ai vecchi tempi. Squadra che vince non si cambia ed è per questo che alla produzione ritroviamo Rick Rubin, già produttore dei loro dischi di maggior successo.
8. Return of the Dream Canteen
Successore di Unlimited Love, risulta all’ascolto come un disco molto più strutturato del suo predecessore. Molto più melodico che rappato, meno stile jam session (fatta eccezione forse per il brano Afterlife). È il disco di una band consolidata, con un John Frusciante ritrovato (di nuovo), dove ad ognuno viene dato il giusto spazio, come in My Cigarette in cui il basso di solito prorompente lascia il compito di apripista al duo batteria e voce. Nella prima parte abbiamo i soliti Red Hot Chili Peppers: gli amanti del rock che omaggiano Eddie Van Halen col singolo a lui dedicato, che suonano a tratti parti strumentali un po’ più dure old school su Fake As Fu@k, ma nella seconda parte sembra essere John a guidare più di tutti il processo creativo arrivando a nuovi suoni sperimentali a tratti psichedelici, a volte un po’ bluesrock come in Carry Me Home o synthpop anni Ottanta come nell’intro di In the Snow, a chiusura di un disco dotato di una certa spiritualità.
7. One Hot Minute
Senza dubbio il disco più divisivo dei Red Hot Chili Peppers: John Frusciante non regge il peso della fama ed è sostituito da Dave Navarro, chitarrista dei Jane’s Addiction, una tra le band più innovative a loro contemporanee. Con Dave si sperimentano suoni più psichedelici, e i Red Hot Chili Peppers non sono più quel che sono stati fino ad ora: chitarre distorte, suoni noise anni Novanta, testi più cupi. Una delusione commerciale nonostante singoli di successo come Aeroplane, Warped o My Friends, decisamente non un disco creato nella maniera più classica per i Red Hot Chili Peppers; loro stessi ammetteranno in interviste future che il processo creativo è risultato molto più lento e meno spontaneo del previsto. Navarro quindi non è il chitarrista perfetto per la band ma ciò non significa che l’album sia completamente sbagliato, anzi. Una perla rara in un mare di funk rock.
6. By The Way
Eccoli catapultati nel mainstream, sempre di più, dopo Californication. John Frusciante è sempre più presente dopo il suo ritorno, principale artefice delle sonorità del disco, sempre più melodiche. I vecchi fan del crossover tra rap e funk ne rimangono insoddisfatti ma il disco conquista il grande pubblico con hit come la stessa By The Way e Can’t Stop, che mai nessuno di noi si stancherà realmente di ascoltare o cantare ai concerti.
5. Californication
Dopo l’insuccesso di One Hot Minute, Navarro prende le distanze dal gruppo a causa di dipendenza da droghe e divergenze creative. È il primo ritorno di John Frusciante e il maggior successo commerciale del gruppo, da cui vengono pubblicati singoli come Scar Tissue, vincitore di un Grammy Award nella categoria Best Rock Song, e Otherside, suggestiva al punto da poter reggere su sé stessa il peso dell’intero disco. La title track è la descrizione del lato oscuro di tutto quel che è Hollywood e il modo perfetto per la band per tirare le somme di tutto quel che è stato il loro primo decennio da vere rockstar.
4. Stadium Arcadium
È il momento più alto nella carriera dei Red Hot Chili Peppers: l’album mette d’accordo pubblico e critica e vince cinque Grammy su sette, tra cui uno come miglior album. Successore di By The Way, continua coerente tra linee melodiche e suoni poprock e alternative scrivendo nuove pagine del genere con hit intramontabili del calibro di Dani California, Snow (Hey Oh), Hump de Bump e Desecration Smile. Il funk di una volta è un ricordo lontano ma in qualche modo sempre presente nelle sfumature. L’ultimo disco con Frusciante prima del suo secondo abbandono, sostituito successivamente da Josh Klinghoffer.
3. Freaky Styley
I veri Red Hot Chili Peppers old school. Un anno dopo il loro primo disco, dimostrano di aver trovato il loro sound funk forse in maniera più decisa. Il compianto Hillel Slovak domina alla chitarra ed emergono tutte le maggiori influenze della band e non solo, anche significative dell’epoca, come l’hip hop e i suoni che rimandano, più in generale, alla musica black: le cover di Africa (rinominata Hollywood (Africa) dei Meters e If You Want Me To Stay di Sly and the Family Stones ne sono la prova più tangibile. Da non sottovalutare anche le influenze punk presenti in brani come Battle Ship e Catholic School Girls Rule.
2. Mother’s Milk
Si potrebbe definire un Freaky Styley 2.0, ma più festaiolo e maturo. I funky young kings si ritrovano ad affrontare la perdita del proprio chitarrista, Hillel Slovak, ma lo fanno continuando a suonare e dando vita alla formazione perfetta: è il primo disco che vede John Frusciante alla chitarra e Chad Smith alla batteria, in sostituzione di Jack Irons. Ritroviamo le influenze black nelle cover di Fire di Jimi Hendrix e Higher Ground di Stevie Wonder, dei suoni più aggressivi e hit come Good Time Boys o Nobody Weird Like Me, quest’ultima vero e proprio momento revival old school ai concerti. È il disco di Pretty Little Ditty che è anche Butterfly dei Crazy Town. MTV, ci manchi molto.
1. Blood Sugar Sex Magic
Il disco più rappresentativo dei Red Hot Chili Peppers, quello della famosa consacrazione definitiva nell’olimpo del rock che fa da base fondamentale per tutto il filone alternativo creato e pubblicato dopo. Il primo lavoro assieme a Rick Rubin, tra i produttori più all’avanguardia della storia in sé e della musica, che in questo disco viaggia e unisce carne e spirito nella maniera più artistica, sensuale e spontanea possibile. Tutto nasce da un’ennesima jam session ed eccoci a celebrare l’adrenalina che solo brani come Give It Away, Funky Monks e anche una ballad malinconica come Under the Bridge sanno regalarci ancora, più di trent’anni dopo.