Nelle tradizioni del folclore popolare coreano troviamo uno spirito chiamato Dokkaebi, dalle caratteristiche simili a quelle del Goblin europeo. Il Dokkaebi possiede delle abilità speciali che a volte usa per aiutare gli esseri umani, altre per infastidirli e stuzzicarli. Sempre secondo la tradizione, questo spirito vive negli angoli bui delle case o in luoghi dove regna l’incertezza e il dubbio; inoltre il loro aspetto è goffo. Sicuramente sarà un caso, ma la descrizione di questo fantasioso essere coreano, si lega perfettamente al carattere e allo stile narrativo di un altro coreano, stavolta un umano, Bong Joon-ho, uno dei registi più talentuosi e più chiacchierati degli ultimi anni, che con i suoi film è sempre riuscito ad ottenere il plauso della critica, dispensando però forti invettive sociali. A Bong Jooh-ho viene riconosciuto il merito di aver portato il cinema coreano ad un livello molto più mainstream rispetto al passato, riuscendo ad essere unanimemente acclamato da tutta la scena hollywoodiana, che troppo spesso ha chiuso gli occhi dei confronti del cinema asiatico.
7. Okja
All’ultimo posto di questa classifica troviamo il penultimo lavoro del regista coreano, nonché quello con il più alto budget a disposizione: 50 milioni di dollari, grazie alla collaborazione con Netflix. Il film è una fiaba che racconta il rapporto tra una bambina e un supermaiale, che ben presto diventerà carne da macello. La forte critica ambientalista e animalista di Okja è palese, ma a differenza di tutte le altre pellicole di Bong Joon-ho, qui non troviamo la sua solita satira, che viene soffocata da uno stile narrativo e visivo troppo grottesco e da un cast corale, composto tra i tanti da Tilda Swinton, Jake Gyllenhaal e Paul Dano, davvero fuori contesto.
6. Barking Dogs Never Bite
Il debutto cinematografico di Bong Joon-ho, risalente al 2000. È in un certo senso il manifesto di tutta quella che sarà poi la poetica del regista. Il protagonista è un professore la cui vita lavorativa e sentimentale è in crisi e il suo disagio sfocia nell’uccisione di un cane, il che lo porterà a numerose difficoltà. Il tono è al limite tra la commedia e la tragedia, e Bong Joon-ho comincia a rappresentare perfettamente il ceto più basso della società coreana con una sottile ferocia.
5. The Host
Al terzo lungometraggio, il regista coreano si apre all’horror di stampo fantascientifico. A causa dei rifiuti tossici gettati da un laboratorio nel fiume Han, la Corea viene invasa da un’epidemia che genera un mostro anfibio gigante, il quale semina morte e caos. Quello che potrebbe sembrare un classico monster movie, in realtà si rivela essere una critica ambientale, ma soprattutto politica nei confronti dei media. Rivisto oggi The Host appare quasi profetico nei confronti delle dinamiche generate dalla pandemia. Unico neo, una CGI che è invecchiata abbastanza male.
4. Snowpiercer
Nel 2013 Bong Joon-ho debutta con il suo primo film in lingua inglese con il post-apocalittico Snowpiercer. In una Terra colpita da un’era glaciale, gli ultimi esseri umani sopravvivono su un treno in costante movimento. Questo treno, lo Snowpiercer, divide gli uomini in classi sociali, dalle carrozze più periferiche, dove si vive nel totale disagio, fino alla locomotiva, sede della ricchezza e dello sfarzo. A differenza di Okja, la commistione tra la poetica coreana e Hollywood qui funziona benissimo e il grande cast brilla, con un plauso ad Ed Harris.
3. Madre
Tra i tanti generi che il cineasta sud coreano ha toccato nella sua filmografia, sicuramente il thriller è quello che ha valorizzato di più la poetica. Madre racconta le vicende di un giovane ragazzo con problemi mentali che viene accusato di un delitto. Sua madre, una donna povera e sola, farà di tutto per scagionarlo e dimostrare la sua innocenza. Il film è cupo, sporco e drammatico, ma allo stesso tempo riesce a reggere la tensione dell’intrigo in maniera grottesca e disturbante.
2. Parasite
Bisogna ammetterlo, se oggi il pubblico medio conosce Bong Joon-ho è grazie a Parasite. Più che un film, un evento culturale che, come un fulmine a ciel sereno, ha cambiato le regole del sistema. Tre Oscar, tra cui Miglior film e Miglior regia, il Golden Globe e, soprattutto, la Palma d’oro a Cannes, posizionano Parasite tra i migliori film del secolo. La regia e la scrittura sono praticamente perfetti in un thriller che mostra il tema più caro al regista, ovvero la lotta di classe, nel modo più forte e diretto possibile. Un instant classic da manuale del cinema.
1. Memorie di un assassino
No, non è Parasite il miglior film di Bong Joon-ho. Nel 2003, infatti, egli decide di portare sul grande schermo la vera storia del primo serial killer della storia coreana. Memorie di un assassino, è apparentemente il più classico dei thriller, con l’investigatore strampalato alla ricerca del brutale assassino. Sotto c’è però un maestoso ritratto sociale della Corea più rurale, dove la violenza e la sfiducia nei confronti delle autorità aleggiano in un clima di totale paralisi. Anche il ritmo del film è diluito, tanto da rendere la visione soffocante e turbolenta, fino ad arrivare ad una finale che è ancora oggi un pugno dritto allo stomaco. Sontuosa l’interpretazione di Song Kang-ho, che da questo film diventerà l’attore feticcio di Bong.