Sul grande tavolo da lavoro di Dio dev’esserci una linea – sottilissima, ovviamente – che unisce due nomi: Albert Hofmann e Marco Jacopo Bianchi, in arte Cosmo. Hofmann è lo scienziato svizzero che scoprì l’LSD, mentre Cosmo è un artista, ma questo, se sei qui, dovresti già saperlo. Ma perché questi due uomini sono connessi malgrado non si siano mai conosciuti e malgrado il loro gap geografico/generazionale? Risposta: perché entrambi hanno portato alle masse una sostanza in grado di curare la depressione, ma nel contempo di danneggiare la mente per via della forza che emana. Una forza che fa viaggiare anche stando fermi. Una forza che entra in circolo e che, anche a piccole dosi, si insinua nel corpo permanendovi per almeno otto ore dalla somministrazione. La sostanza di Hofmann, come anticipato, è l’LSD, mentre quella di Cosmo è la musica. Ma non una musica normale, di quella che potresti sentire in radio in macchina durante il viaggio di ritorno dal mare, ma una di quelle che viene contrabbandata, appunto, come una droga. Ecco allora la nostra classifica degli album psicotropa di Cosmo, dal peggiore album al migliore.
5. Sulle ali del cavallo bianco
Disco stanco e privo di particolari vezzi seppur nato in soli nove mesi. Tende a raggiungere in modo definitivo la forma canzone, abbandonando quasi definitivamente i tripudi lisergici in favore dei viaggi interiori. A livello di sound dà la sensazione di non essere all’altezza dei predecessori, malgrado il disco salga di livello progressivamente fino a raggiungere il picco nella closing track Messaggio che è un mix tra monologo e canzone. Un momento degno di nota è poi l’esperimento breakcore di Tutto un casino che ci trasmette vibes interessanti in pieno stile Prodigy.
4. La terza estate dell’amore
Un disco che parte forte e coraggioso. Verrebbe da dire quasi spocchiosamente consapevole: Dum Dum è infatti una intro moderna e ambiziosa in grado di mescolare suoni organici e granulari al minimalismo dei sub 808. Le ritmiche e il gusto sonoro sono spiccati, ma purtroppo il disco di lì in avanti perde quota, al netto di qualche colpo di reni. La cattedrale e Gundala sono infatti esperimenti godibili mentre Noi è un outro sublime dalle liriche semplici e nel contempo sofisticate – in quanto frutto probabilmente di uno stream of consciousness, marchio di fabbrica dell’artista eporediese. I singoli estratti sono degli skip dimenticabili. Il motivo che mi porta a collocare La terza estate dell’amore in fondo alla classifica degli album di cosmo è la scelta di intraprendere per troppi brani un percorso sonoro fatto di stilemi di elettronica meno elitaria ma più disco, che appaiano Cosmo a tanti altri autori contemporanei. La sua forza – e lo vedremo nei prossimi lavori sotto la lente d’ingrandimento – è da sempre quella di gemellare l’elettronica per palati sopraffini al cantautorato nostrano.
3. Cosmotronic
Quando lo ascoltai, la notte stessa in cui uscì, mi resi subito conto del cambiamento che era in atto nella carriera di Cosmo. Questo disco, in effetti, certifica il desiderio di spostare il panorama davanti al quale le cose accadono. Se nei primi due dischi questo background era quello di una natura incontaminata, nei secondi due si sposta verso uno spazio chiuso e claustrofobico. Se Disordine e L’ultima festa, di cui parleremo a breve, raccontano la voglia di urlare la tristezza in un momento di estasi e pace, al contrario, Cosmotronic e La terza estate dell’amore è come se volessero raccontare la bellezza all’interno di un momento di nichilismo e depressione latente. Per certi versi, lo Yin Yang che ne risulta, visto da lontano, è affascinante. Ancora una intro sublime, in cui torna lo stream of consciousness, ma anche molti picchi, alternati – ahimè – da molti bassi. In questo caso i singoli, al contrario de La terza estate dell’amore, sono il vero compendio del disco. Brani in grado di essere pop, nella sua accezione più nobile. È il caso di Sei la mia città e Quando ho incontrato te (quest’ultimo, brano dedicato alla moglie Antonietta). Discorso diverso per Turbo, pezzo dall’ estetica trash che toglie al disco anziché aggiungere. Nota di merito a Tristan Zarra.
2. L’ultima festa
Difficile fare una classifica degli album di Cosmo dal peggiore al migliore, certo. Ma scegliere tra i due dischi restanti, per me, è un po’ come rispondere alla domanda: vuoi più bene a mamma o a papà?. La grandezza de L’ultima festa consiste nell’essere riuscito a mantenere l’ispirazione fortissima dell’album d’esordio, riuscendo tuttavia ad inserirlo in una struttura più vicina alla canzone per come la conosciamo. Brani corti e incisivi, tra cui spiccano, ovviamente oltre alla title track, Le voci, Cazzate e Regata 70. La forza che ha questo disco, rispetto a quelli che inciderà successivamente, è proprio lo standard altissimo di ogni traccia. Un lunedì di festa, che qui quasi si fatica a citare, sarebbe senza ombra di dubbio il brano più valido di Cosmotronic e La terza estate dell’amore. Nota a margine: non che ci interessi più di tanto, amici miei, ma questo è anche l’album che ha fatto conoscere Cosmo ad un pubblico più ampio.
1. Disordine
E allora ecco che raggiungiamo la vetta, o l’abisso a seconda del punto di vista. Perché il disco più grande di Cosmo è anche il suo album d’esordio. Non c’è da sorprendersi, visto che, in una intervista, qualcuno di molto rilevante (mi pare fosse Robert Smith), disse che il primo album è spesso il più bello perché anziché essere scritto in uno, due o cinque anni, è il disco che un artista inizia a scrivere, senza saperlo, dal giorno della sua nascita. E infatti Disordine è una premessa epica e solenne, sporca e pura nel contempo, sacra e profana, in grado di trascinarci attraverso le quattro dimensioni senza mai lasciarci interdetti o farci sentire fastidi di sorta. È un viaggio lungo e coerente attraverso le vie sperdute dell’animo umano. Numeri e parole è poesia sonora, Disordine è il grido di una generazione che non vuole vivere la vita di qualcun altro ed Esistere – il brano dedicato al suo primogenito – è il più intimo che Cosmo abbia mai scritto. Un capolavoro cristallino. E cosa dire poi di Le cose più rare? Questo è il brano che sconfigge la morte. Che avvicina i due mondi e connette le vite spezzate. Concretizzando il miracolo musicale più grandioso e lucente: quello che celebra la vittoria dell’arte sullo scorrere inesorabile del tempo.