8. Wonderful Wonderful
Premere play su Wonderful Wonderful vuol dire salire a bordo di una decappotabile senza aprire la portiera, indossando una canottiera e un paio di Ray-Ban Aviator, coi capelli al vento. Brandon Flowers, driver d’eccezione, ci guida in un viaggio temporale più che spaziale, esplorando le kitsch-issime declinazioni pop degli Ottanta. Lungo il cammino sembra di incrociare i Simple Minds, George Michael e tante piccole references portate all’eccesso di una decade che ritorna sempre, come le spalline e i Levi’s 501. Ma eccoli, in quei cinquantaquattro minuti ritrovi anche loro in questo nostalgico catalogo-tributo, i Killers. Li scorgi non appena Brandon smette di giocare coi synth, i falsetti e tutte le esasperazioni del caso. Stavolta, lungo le strade del Nevada, Flowers e soci hanno deciso di imboccare una strada controsenso, affrontando con coraggio tutte le conseguenze di una svolta da luccichii disturbanti.
7. Pressure Machine
Brandon Flowers si spoglia di orpelli, accessori e scintillii pacchiani di Las Vegas. Lo fa nella vita, lo fa nella musica. Pressure Machine segna una inaspettata svolta introspettiva, dai toni caldi di piccola realtà di provincia, la stessa in cui Flowers è nato e a cui farà ritorno per trascorrere più tempo in famiglia. I colori e le sonorità rassicuranti lasciano spazio a chiaroscuri acustici, armoniche e ballad nostalgiche, per un prodotto più intimo e riflessivo, mettendo da parte mode e capricci sperimentali. Il disco è una chiara dichiarazione d’amore nei confronti di Springsteen e della sua musica. Anche la cover ne è una prova. Ma i fan dei Killers come l’avranno presa questa virata folk?
6. Battle Born
Dopo aver conquistato fans, mercato discografico e concerti da migliaia di persone, i Killers ritornano sulle scene dopo quattro anni dall’ultimo disco, procedendo diretti verso sfarzose sonorità da stadio, più pompose che mai, supportati da grandi nomi della produzione (Stuart Price, Steve Lillywhite, Brendan O’Brien, Daniel Lanois sono solo alcuni di quelli che hanno preso parte a Battle Born). Una nuova fase per la band che ha assimilato fama e consapevolezza. Il risultato però, ad eccezione di alcuni pezzi (Runaways su tutti) non soddisfa pienamente, probabilmente colpa delle alte aspettative alimentate dai lavori precedenti. Fortuna che hanno le spalle coperte.
5. Imploding the Mirage
Il 2020 conferma che Dave Keuning, fondatore della band, almeno per il momento, è fuori dai giochi. I Killers sono ormai lontani dalle chitarre di Sam’s Town, eppure anche in quelle sonorità spiccatamente anni Ottanta, sembrano aver ritrovato la loro dimensione più vera, assestandosi in un angolo pop già precedentemente esplorato, ora più fresco e sincero, privo di eccessi. Caution, primo singolo e My Own Soul’s Warning pezzo di apertura su tutte, in cuffia inconsapevolmente ti fanno annuire, gioendo silenziosamente del fatto che i Killers, almeno in parte, siano sopravvissuti.
4. Sawdust
Una raccolta prematura, si potrebbe pensare. In effetti i Killers ripropongono alcuni pezzi e cover a modo loro, con il giusto sfarzo e gusto barocco che li contraddistingue. Ad intervallare i già noti brani, ci sono validi inediti che ti ricordano perché hai ancora in cuffia la voce di Brandon Flowers. Le intenzioni di quell’indierock che ha catalizzato l’attenzione sui Killers lo ritroviamo in una sequenza di brani da Leave The Bourbon On The Shelf a Show You How, passando per Under The Gun. Ad aprire il disco, Lou Reed. In chiusura, prima di alcune hidden tracks e remix che sarebbe stato meglio non ascoltare, una gradevole cover dei Dire Straits di Romeo and Juliet.
3. Day&Age
Addio sobrietà, benvenuti a Las Vegas. Solo qualche anno prima, Brandon Flowers faceva capolino con gli occhi truccati, mentre timidamente piazzava un mattoncino importante alla solida struttura indierock di primi Duemila. Lo ritroviamo ora con le spalle ricoperte di piume a chiedersi se siamo umani o ballerini. Si insinua passivamente questo quesito dance nelle menti di migliaia di persone che, qualora non l’avessero fatto prima, scoprono la band di Las Vegas, ora rappresentazione fedele della città di provenienza. Colori, insegne luminose e finti Elvis compaiono come immagini sonore in Day&Age, disco che chiaramente attinge in modo spregiudicato, coraggioso e credibile dal synth-pop anni Ottanta.
2. Sam’s Town
La critica non ha perso tempo nell’elogiare il primo quanto affondare il secondo disco. I Killers qui mettono in musica tutta la loro essenza pomposa e magnificente, dal sapore squisitamente americano, accantonando il pop accattivante di Hot Fuss, in favore di corpose chitarre e ballad. Risultato? Un disco a cui premi play e ti sorprendi ad arrivare alla fine senza skippare quasi mai nessun pezzo. Singoli dalla forza evocativa indubbia. Read My Mind e When You Were Young, su tutti, perle assolute.
1. Hot Fuss
Provateci voi a spiccare in un panorama musicale ricco e competitivo come quello del 2004. Strokes, Interpol, Libertines, Arcade Fire sono solo alcuni dei nomi di quell’anno. Eppure Brandon Flowers, dal viso paffuto e truccato, ha conquistato tutti al primo singolo. Mr. Brightside e Somebody Told Me incarnano il carisma e una sana dose di ironia che forse in quella nicchia indie mancava. I Killers sono stati e si sono confermati la next big thing che tutti aspettavano, tra divertimento pop e ballad malinconiche a là Smile Like You Mean It. A chi vi chiede chi sono i Killers, regalategli questo disco. Vi ringrazierà.