Esiste un fluido in natura in grado di cambiare stato a seconda della forza con cui lo si colpisce. Dopo pochi secondi dall’inizio di Oltre, è evidente che Mace sia il fluido non newtoniano del panorama musicale italiano. Perché è fuori dal tempo. Fuori dallo spazio. E se lo colpisci – in questo caso banalmente cercando di anticiparlo, di prevederlo – lui ti risponde in un modo che sfida le leggi precostituite. Dopo il successo di OBE, avevamo tutti gli occhi, o meglio, le orecchie puntate su quello che sarebbe stato il suo secondo disco. Un sequel, pensavamo. Ma se state cercando La canzone nostra – Parte II, siete nel posto sbagliato. Siamo infatti al cospetto di un’opera complessa ed eterogenea, integralmente instrumental, che tocca i bordi più distanti della superficie sonora finora conosciuta.
Troviamo infatti fondamenti di ambient, spunti new wave e prog, fiati blues, sonorità arabeggianti e, logicamente, tanta elettronica. Un rave per gli amanti della classica, verrebbe da dire. Nulla di nuovo se pensiamo ad esempio ad Anima di Yorke oppure alla seconda parte della carriera di Eno o dei Sigur Rós, ma con la sostanziale differenza che questo viaggio lisergico made in Milan arriva ad inizio carriera: ad un secondo album, come dicevamo. E questo ha senz’altro un peso specifico importante. Perché era fin troppo facile immaginare un disco che si basasse sul mantra squadra che vince non si cambia (che poi: a farlo un altro disco come OBE). Ma Mace è un fluido non newtoniano, no? E allora smettiamola di provare a capire, ad incasellare, a catalogare. Lasciamo solo entrare nei polmoni il fumo di questo bizzarro calumet fluorescente. Ma dunque cos’è Oltre? Un virtuosismo di un’ora e dieci minuti? Un esperimento nato da una ricerca personale troppo ben fatta da non essere pubblicata? Una dichiarazione d’intenti? Insomma: cosa consegna questo disco alla contemporaneità?
Rispondere è complesso, se non altro perché il mercato italiano, come quello statunitense, non premia la musica di questo tipo. Discorso diverso per i Paesi a Nord dell’Europa, dove Oltre potrebbe avere un certo appeal. Se a questo aggiungiamo che solo alcuni pezzi hanno una forma compatibile con il popolo delle discoteche, e che mettere in cuffia brani di tale natura è un esercizio per veri intenditori, è evidente che non c’è un vero habitat naturale per Oltre. Questo non è un difetto, ma una constatazione che certifica le priorità di Simone Benussi. La speranza è che tale approccio sia di ispirazione per i producer italiani e per chiunque ambisca ad essere un artista. Perché l’artista mette davanti a tutto l’urgenza, la sua catartica visione del mondo. L’incontro col pubblico arriva solo in seguito. Farsi guidare dallo Scirocco delle mode estive, dal suono dei fruscianti, dalla paura di tradire le aspettative, è roba da mestieranti, non da artisti. E questo Mace lo sa bene.