Da oltre dieci anni la loro impronta ridefinisce e valorizza il concetto stesso di musica alternativa. Sono sperimentazione, genialità, sorpresa, impatto. Sono gli Awolnation (sì, quelli di Sail), tornati in scena con My Echo, My Shadow, My Covers and Me, un disco di cover che è il risultato della reinterpretazione di undici brani iconici, arrangiati con un’ispirazione personale ma rispettosi della versione originale. Ulteriore prova, questa, del grande talento del leader, Aaron Bruno, che abbiamo incontrato per approfondire alcuni aspetti legati al disco: il periodo che lo ha visto nascere – quello della pandemia – l’importanza di condividere un progetto artistico e l’inestimabile impatto che la musica ha nelle nostre vite.
Come suona l’eco che citi nel titolo del disco?
In qualche modo è anche molto personale perché l’eco ha il suono dei miei pensieri ed è un suono che cambia di ora in ora, di giorno in giorno. Da quando ho iniziato a pensare a questo album, a prepararmi e a lavorare affinché fosse pubblicato è passato parecchio tempo. Era il periodo più buio della pandemia, quando tutto si è fermato e abbiamo dovuto capire come affrontare la paura, come mantenere la calma. È stata la mia interpretazione di quello che stava succedendo. Di certo, il suono oggi è molto diverso da allora.
Che forma hanno invece le ombre di cui parli?
Vale un po’ lo stesso discorso di prima, alcuni giorni vedo ombre giganti, taglienti, minacciose, altri mi rendo conto che sono molto più grande io delle ombre e riesco a guardare il mio percorso in un’altra prospettiva. È l’eco, sono le ombre, è la vita.
È un album nato in un momento buio della tua vita mi sembra di capire.
Quando ho deciso di mettermi al lavoro su My Echo, My Shadow, My Covers and Me stavo vivendo una forte delusione per quello che era accaduto al mio ultimo disco originale. Tutto si era fermato, il tour non era partito e quei brani non erano mai stati cantati davvero. Allora ho pensato: l’ultima cosa che voglio fare in questo momento è comporre nuove canzoni. La maggior parte delle cover incluse nell’album erano già nella mia testa, le canticchiavo ogni giorno, anche nel tentativo di non pensare troppo. Era il modo migliore per andare avanti, rimanere positivo e tenermi impegnato.
Ascoltandolo, questo mood si percepisce.
Volevo si percepisse la nostalgia, pur non scegliendo i classici evergreen. Certo, alcuni di questi pezzi possono sembrare ovvi per le persone della mia età ma sono sicuro che alle orecchie dei fan più giovani arriveranno come qualcosa di nuovo.
My Echo, My Shadow, My Covers and Me contiene delle collaborazioni molto speciali, da Beck a Brandon Boyd a Conor dei Nothing But Thieves.
Le collaborazioni sono nate in modo spontaneo e con la facilità derivata dal fatto che eravamo tutti costretti a rimanere a casa. Ti ricordi i live streaming, i festival in diretta YouTube? Ecco, anche noi registravamo a distanza. Alcuni artisti sono amici di lunga data, con altri sono nate delle connessioni tramite contatti in comune. Jewel (presente nel featuring di Take A Chance On Me ndr.), ad esempio, mi ha ringraziato tantissimo per questa collaborazione, mi ha detto quanto fosse stata contenta. E non ci eravamo mai incontrati prima.
C’è però una canzone, Drive dei The Cars, che canti da solo, immagino sia per te un brano importante.
Ho scelto di inserirla sia perché è una delle mie preferite nel repertorio dei Cars, sia per dare a questo brano una nuova opportunità, per ricondividerlo con i riflettori finalmente puntati addosso perché, secondo me, non ha mai ricevuto la giusta attenzione. Non lo avevo pianificato, in realtà, ma avevo l’impressione che fosse come un’isola deserta, solitaria, dotata di vita propria ma non completa. Allora l’ho riconnessa con tutte le altre isole a beneficio dell’impatto sonoro ed emotivo di tutto il disco.
E ora, guardando avanti, cosa vedi?
Posso dirti che con gli Awolnation siamo molto vicini alla chiusura del nuovo album. Stiamo concentrando lì tutte le nostre energie.