“1855 days, i been goin’ through something”, così si apre il nuovo disco di Kendrick Lamar. Il rapper di Compton è consapevole di quanto tempo sia stato lontano dalla scena prima di rilasciare il suo quinto album in studio. Mr. Morale & The Big Steppers è un doppio album, da nove brani per ciascuna metà, della durata totale di 73 minuti, a cui il primo e unico rapper premio Pulitzer è arrivato dopo un interminabile periodo di gestazione. Un progetto rap, dalle contaminazioni jazz, su cui il mondo intero aveva grandi aspettative, e di questo Kendrick è più che consapevole. Conscio della sua posizione di autorità morale del rap americano, e per qualcuno anche Best Rapper Alive, l’annuncio ufficiale è arrivato in modo altrettanto provocatorio e arrogante. Nell’ultimo anno gli indizi in merito al suo quinto album sono stati diffusi principalmente attraverso il suo sito/alterego Oklama, oltre ad un comunicato in cui affermava che sarebbe stato anche il suo ultimo lavoro sotto la storica etichetta TDE. Qualche settimana fa però è stata confermata l’uscita del disco da Kendrick stesso, in risposta ad un fan che lo aveva dichiarato ormai pensionato e artisticamente morto. Come da tradizione, il disco è stato anticipato dal quinto capitolo di The Heart, brano accompagnato da un video deep fake in cui Kendrick assume i connotati di Kobe Bryant, OJ Simpson, Kanye West, Will Smith e Nipsey Hussle.
Nessuna tracklist e nessun indizio sugli ospiti presenti, solo la foto della copertina del disco ha accompagnato l’attesa del rilascio ufficiale. Una fotografia dal forte impatto visivo scattata da Renell Medrano: Kendrick Lamar appare di spalle, con una pistola nella cintura dei pantaloni, una corona di spine diamantata e lo sguardo rivolto verso la finestra della stanza in cui si trova, in braccio tiene sua figlia di tre anni che fissa l’obiettivo, mentre sullo sfondo appare Whitney Alford (fidanzata e madre dei figli di Kendrick), intenta ad allattare al seno il loro secondo genito. La cover è tanto eclettica quanto trasparente, esattamente ciò che ci si può aspettare da Kendrick e provare a decifrarla è stato dal primo momento l’obiettivo dei fan e critici in tutto il mondo. Le interpretazioni sono molte, e diventano ancora più chiare ascoltando il disco: la pistola a rappresentare la violenza di una generazione alla quale è difficile sottrarsi, la corona rende ancora più palese quanto Kendrick senta il ruolo che la scena rap mondiale gli abbia riconosciuto, un martire e salvatore che predica il miglioramento artistico e sociale, mentre il resto dello scatto è un anticipazione dei temi che Kendrick approfondisce in modo passionale e a tratti ossessivo nei diciotto brani del progetto.
Mr. Morale & The Big Steppers è un disco in cui Kendrick esprime al massimo la sua capacità di drammaturgo e storyteller, e nei suoi racconti si circonda di diversi colleghi che arricchiscono ancora di più il progetto da un punto di vista artistico. Tra i featuring compaiono Tanna Leone, Taylour Paige, il cugino Baby Keem. Una delle collaborazioni che ha lasciato più perplessi è quella con Kodak Black, una figura discussa nella scena americana per la sua vicinanza a l’ex presidente Donald Trump, la sua presenza è paragonabile a quella di DaBaby e Marylin Manson in Donda di Kanye West, anche se resta poco chiaro se si tratta di un messaggio di redenzione o una mossa provocatoria. I producer dei tappeti musicali delle diciotto tracce sono altrettanto numerosi e variano da Pharrel a Beach Noise passando per Dahi e The Alchemist arrivando fino a Soundwave. Le produzioni delineano ancora meglio il quadro che Kendrick vuole dipingere, un’opera in cui il disordine la fa da padrone, con beat che vedono ogni volta almeno tre produttori diversi, caratterizzati da suoni spezzati e poliedrici, i quali lasciano l’ascoltatore confuso e con pochi punti di riferimento per orientarsi durante l’ascolto.
La musica di Kendrick è un insieme di racconti da diverse prospettive, personificazioni dei suoi molteplici personaggi, che prendono vita attraverso voci e cadenze distinte. Il nuovo album si pone quindi come uno sguardo sfocato, ma indagatore al personaggio più sfuggente di K. Dot: sé stesso. Il premio Pulitzer nel suo quinto disco abbandona l’eleganza e la cura della struttura che ha caratterizzato i suoi progetti precedenti, restituendo un insieme di strofe che appaiono come veloci bozze su un foglio, rendendo ancora più difficile all’ascoltatore la comprensione dei pensieri di Lamar. Mr. Morale & The Big Steppers è il racconto della pausa dalla musica da parte del Mc di Compton, mentre si mette a nudo e prova a raccontare e chiarire chi è realmente Kendrick Lamar, consapevole e fiero allo stesso tempo di quanto la sua onestà sia pericolosa. Non è facile riassumere tutti gli argomenti trattati nel disco, e sarebbe a tratti riduttivo, quindi abbiamo selezionato alcuni dei macrotemi affrontati nel tentativo di avere un quadro generale che possa fornire una chiave di lettura del doppio album.
Cancel Culture
Kendrick non è assolutamente un fan di questo fenomeno, in N95 dice chiaramente “What the fuck is cancel culture, dawg? Say what I want about you ni**as, I’m like Oprah, dawg”, poi in Worldwide Steppers continua dicendo “Oh, you worried ‘bout a critic? That ain’t protocol”, sostenendo ancora la sua posizione in Saviors cantando “Fun fact, I ain’t taking shit back” e “Bite they tongues in rap lyrics/Scared to be crucified about a song, but they won’t admit it” “I seen ni**as arguing about who’s blacker/Even blacked out screens and called it solidarity/Meditating in silence made you wanna tell on me”. Il suo rifiuto verso la cultura della cancellazione è ricorrente in tutto il disco e non ha paura di mettersi in prima fila contro questo trend, che condanna e dal quale prende le distanze.
Terapia
Il disco si apre con Kendrick che parla con un terapista e spiega come la terapia ed il tentativo di guarire dai traumi familiari e generazionali sono alcune delle colonne portanti dell’intero progetto. Kendrick si sofferma su come la sanità mentale sia stigmatizzata nella comunità nera e su come sia cresciuta sentendosi dire “Real ni**as don’t need therapy”.
Amicizia e fama
Tema ricorrente nel genere rap e Kendrick non è sicuramente il primo ad affrontare la questione delle amicizie e di come esse cambiano mentre si raggiunge la fama. In Father Time cita anche Kanye e Drake dicendo “When Kanye got back with Drake, I was slightly confused/Guess I’m not mature as I think, got some healin’ to do”, osservando il loro rapporto per porsi delle domande e valutare le sue personali esperienze in campo di amicizie.
Omofobia
Auntie Diaries è una già una pietra miliare per il rap. Un brano in cui il rapper di Compton parla della comunità LGBTQ+ attraverso il racconto di due membri transessuali della sua famiglia. Kendrick in questa traccia fa spesso uso della f-word, contestualizzando e mettendosi in discussione rispetto al come l’avesse usata in passato. L’intento del brano in questione sembra quello di sensibilizzare colleghi e ascoltatori verso una maggiore tolleranza, secondo il concetto che pervade tutto tutto il disco: people are people.
Trauma familiari
Forse il tema principale del disco, presente in ogni singola canzone e approfondito in modo meticoloso e doloroso. La terapia e l’autoanalisi sembrano aver avuto un effetto più che miracoloso su Kendrick ed è in grado di affrontare l’argomento senza paura di essere giudicato e chi ha avuto esperienze e simili a quelle dell’artista può perfettamente comprendere ciò che Lamar sia riuscito a fare.
Spiritualità
Come in ogni suo progetto Kendrick scandaglia il suo io attraverso la spiritualità, a questo giro non si sofferma su alcuna religione in particolare, ma i suoi testi si ispirano agli insegnamenti di ogni credo del mondo, dalla cristianità, alle religioni orientali fino alla spiritualità africana.
Relazioni
Nel corso del disco Lamar si sofferma a parlare delle sue esperienze in campo di relazioni romantiche, mettendo in discussione la sua maturità e i suoi errori personali. Il brano in cui si raggiunge il climax di questo macrotema è We Cry Together, che vede l’utilizzo di un sample di Florence+The Machine, e ricorda la struttura di Kim di Marshall Mathers: Kendrick e Taylour Paige si affrontano a viso aperto, in modo agguerrito, rocambolesco e passionale, ma nel complesso perfettamente bilanciato e simmetrico.
Paternità
I riferimenti alla paternità sono numerosi, a partire dalle barre in Worldwide Steppers in cui Kendrick racconta “Playin’ ‘Baby Shark’ with my daughter/Watchin’ for sharks outside at the same time/Life as a protective father, I’d kill for her/My son Enoch is the part two/When I expire, my children’ll make higher valleys”. K. Dot non si ferma solo a parlare della sua personale esperienza da padre e delle sue intenzioni di garantire ai suoi figli un’esperienza padre-figlio migliore di quella che ha avuto lui, ma punta il dito contro l’eredità storica della schiavitù e di come questa ha influenzato le strutture familiari delle persone nere nella traccia Mother I Sober: “I pray our children don’t inherit me and feelings I attract/A conversation not bein’ addressed in Black families/The devastation, hauntin’ generations and humanity/They raped our mothers, then they raped our sisters/Then they made us watch, then made us rape each other”.
Sul finale del disco Kendrick si abbandona ad un pianto in cui racconta storie di violenza domestica che riguardano lui, sua madre ed i suoi cugini. Il dolore è fotografato ma non elaborato, lasciando l’ascoltatore ancora più perplesso e confuso. Mr Morale & The big Steppers sembra quindi essere una risposta alla domanda che K. Dot si fece ormai un decennio fa, prima ancora di essere il primo ed unico rapper ad aver vinto il premio Pulitzer: if i mentioned all my skeletons, would you jump in the seat?. La nostra risposta è che Kendrick ha fatto benissimo ad aspettare, e noi siamo lieti di aver aspettato così a lungo per comprendere ancora un po’ di più i suoi personaggi, ed è il nostro momento di metterci in discussione e analizzarci come ha fatto lui in questo ultimo capolavoro.