L’ultima volta che ci siamo sentiti al telefono, Mirko mi disse di essere in una fase molto rock della sua carriera («Anche se credo che il risultato dei miei ascolti si vedrà maggiormente nei miei prossimi lavori», aggiunse). La nostra chiacchierata è relativamente recente, per cui non è uscito un nuovo disco da quel giorno, ma è evidente che questa (sacrosanta) ossessione per il rock, nella sua accezione più nobile e non macchiettistica, è l’amalgama che connette tutto il live di Rkomi. Certo, lui è old school nel modo di citare il rock: con i pantaloni in pelle nera attillatissimi alla Dave Gahan e il petto nudo alla Iggy Pop, con i capelli arruffati di Cobain e le arrampicate sui sostegni del palco di Vedder, ma il tutto risulta genuino. Puro. Come la musica che, traccia dopo traccia, regala al pubblico capitolino. In quella che per molti è stata una notte insuperabile, come il brano di apertura che è una vera e propria dichiarazione di intenti: questa sera c’è da sudare.
Eh sì perché ad un concerto di Rkomi non è possibile annoiarsi. Un momento prima stai ballando una hit dalle sonorità trap e l’attimo dopo sei immerso nelle acustiche delle ballad di Taxi Driver. Ma poi arriva il rock di Vasco (eseguita integralmente Fegato, fegato spappolato) e allora capisci che provare a prevedere uno show di Rkomi è come cercare di anticipare una mossa di Kasparov: impossibile. Salgono sul palco un po’ di ospiti per rendere giustizia ad uno show che ovviamente deve tener fede soprattutto al concept di Taxi Driver, che è di fatto un disco di featuring. E c’è anche la sorpresa nella sorpresa. Sale sullo stage Ariete e il pubblico teen impazzisce letteralmente per la suggestiva Diecimilavoci accompagnata da una costellazione di luci degli smartphone, i sostituti più contemporanei degli accendini Bic. È un’onda, anzi una marea, che si muove all’unisono a sinistra e a destra. È poi il turno di Karakaz: il momento più alternative rock della serata, voce del verbo pogare. Sarà che il sottoscritto comincia a non essere più un ragazzino, ma la veste rocciosa e graffiata di questo momento, conferisce al live un certo spessore che tutto sommato convince tutti, a prescindere dal millesimo sulla carta d’identità.
L’ultimo grande ospite è Tommaso Paradiso, che si esibisce in una versione stupenda di Ho spento il cielo, singolo che aveva anticipato Taxi Driver. Che se ne dica, il classe 1983 Prati sa sempre dare un senso a ciò che fa e, non posso esimermi dal dirlo, forse davanti alla folla oceanica (appunto) dell’Atlantico, avrà capito che portare la musica di stampo mainstream in location del genere è senz’altro più coerente del teatro Conciliazione (ma qui la colpa è per la maggior parte della Pandemia). Il momento più colorato, che in fin dei conti diverte tutti – dai più integralisti fino ai millennials – è ovviamente Nuovo Range. Il brano più radiofonico della tracklist, scritto con Sfera Ebbasta. Esplode una bomba di braccia e tutti si cantano sopra. Mi piace pensare per un attimo tutti i piedi dell’Altlantico fossero sospesi in aria e che i battiti cardiaci fossero a tempo. Perché il vero dono di Rkomi, non c’è dubbio, è in ultima istanza quello di connettere generazioni lontane e vicine, generi agli antipodi, colori opposti ma complementari. Scusate se è poco.