Il debutto discografico non è mai un’operazione facile, soprattutto quando il tuo nome è già conosciuto e rispettato da pubblico e critica. Le aspettative sono alte e sembrano non poter essere mai soddisfatte fino in fondo. Pietro Morandi – in arte Tredici Pietro – lo sa, ma è al tempo stesso conscio di aver lavorato su sé stesso e di essere un artista che, dopo un percorso lungo e tortuoso, è riuscito a sviluppare un’importante coscienza artistica. Una coscienza artistica che non avrebbe ragion d’essere senza il solito posto e i soliti guai citati nel titolo e approfonditi poi nell’album. Tredici Pietro, dunque, decide di rovistare fra le sue esperienze personali, fra le sue idee, regalando un viaggio intimo e romantico.
Tra due giorni esce il disco, che sensazione provi in questo momento?
Ansia, perché non non conosco quello che mi aspetta. È una sorta di saliscendi emotivo.
L’album s’intitola Solito posto, soliti guai. Intendi dire che non è cambiato nulla da quando hai cominciato a fare musica?
Sicuramente intende dire anche questo, con i suoi aspetti positivi e con i suoi aspetti positivi. Il titolo racconta un po’ quello che ho attorno, le persone, le cose che succedono, che sono sempre le solite – e che alla fine succedono sempre nel solito posto.
Hai mai voglia di scappare da questa condizione?
A dire il vero ogni tanto ho bisogno di tornarci. Io sono già scappato dal mio solito posto, oggi vivo a Milano. Avevo bisogno di fuggire dalle mie abitudini ma è come se avessi sempre bisogno di tornarci. Ho voglia di scappare ma non posso non amare il mio solito posto, le mie abitudini, la mia casa.
Solito posto, soliti guai si può considerare una sorta di completamento di quanto già fatto con X questa notte?
L’esigenza era quella di fare un disco, un progetto fisico, anche tenendo conto delle scadenze che avevo da rispettare. Se avessi potuto avrei raccolto tutti e tre gli EP precedenti in un unico progetto, ma per ragioni discografiche non ho potuto farlo. Volevo assolutamente uscire con un disco tutto mio, al più presto.
È chiaro che ci sia stato un evidente cambio di rotta nella tua musica, cosa ti ha portato a questa maturazione artistica?
Quando sono uscito avevo 20 anni ed ora ne ho 25, quindi sicuramente il fattore età è importante. Poi io ho sempre fatto rap, solo negli ultimi anni mi sono avvicinato ad altri generi musicali o comunque a fare cose diverse che mi hanno permesso di maturare artisticamente. L’entrata nel mondo della musica vera e propria, fatto di studio teorico e cose simili, sicuramente ha influito. E anche le esperienze personali hanno il loro peso ovviamente.
Come fossi andato via è il singolo che anticipa il disco ed è prodotto da DJ2P. Quanto pensi che incida oggi sugli artisti l’essere assenti per un certo periodo dai social e dal panorama musicale? Si avverte il peso dell’assenza?
Lo avverti e anche parecchio. Si avverte nell’odio o nell’amore che ricevi o non ricevi dalla gente e al giorno d’oggi tutto questo ha un certo peso. È inevitabile che la mancata risposta via social sia pesante. Nel frattempo la gente può andare ad ascoltare altri artisti e quindi può dimenticarsi di te. Quindi questo è un fattore che sicuramente influisce su un artista.
Ci sono particolari influenze nella scrittura e nella produzione di questo album?
Le influenze – per quanto riguarda la scrittura – sono principalmente non musicali. Potenzialmente anche questa conversazione potrebbe essere un’influenza, avrebbe potuto ispirarmi. Nel senso che ogni cosa può tornarti utile in fase di scrittura, anche perché le influenze sono dappertutto se si parla di scrittura. Dal punto di vista invece tecnico, Solito posto, soliti guai si ispira molto al modus operandi della playlist, perché è dotato di una tracklist disordinata, quasi casuale.
Cinque anni fa pubblicavi un singolo intitolato Pizza e fichi. C’è qualcosa che ti manca di quel periodo?
Di quel periodo non mi manca niente. Forse mi manca qualcosa del periodo pre-Pizza e fichi. Mi manca, per esempio, l’amore con cui prima ero solito ascoltare la musica. Una volta che entri nella dinamica lavorativa, pensi sempre a cosa avresti potuto fare tu nella canzone di un altro artista e quindi si crea un circolo vizioso in cui non è più possibile godersi una canzone così com’è stata rilasciata. Vorrei tornare a una condizione precedente di ascolto, una condizione più pura.
Com’è noto, tu sei un figlio d’arte. Lo percepisci come un peso, un vantaggio o cos’altro?
Credo che sia più facile farsi vedere, ma credo anche che sia molto più difficile farsi piacere. La vedo come una grande sfida, ognuno ha le sue dopotutto. Avrei potuto fare tutt’altro nella vita e invece ho scelto di fare l’artista.