dark mode light mode Search Menu
Search
Naska è l'anello di congiunzione tra "American Pie" e "Nevermind"

Naska è l’anello di congiunzione tra “American Pie” e “Nevermind”

Sono le quindici in punto quando Diego, con la tosse dalle vere rockstar, mi risponde dal suo studio di Milano. Mentre ci presentiamo, sul muro alle sue spalle riesco a vedere Sid e Nancy, un bimbo che insegue un dollaro in una piscina e la locandina di un capolavoro di Kubrick, nello specifico quello tratto da un romanzo di Burgess, scritto ad inizio anni Sessanta.

Qualche tempo fa ho intervistato Glen Matlock (bassista dei Sex Pistols prima che subentrasse il tipo vicino a Nancy sul poster dietro di lui ndr.) e mi ha detto che negli anni Settanta la musica era molto più di oggi la voce di un cambiamento sociale. Qual è oggi secondo te il modo più rumoroso ed efficace per fare una rivoluzione?
Vuoi che sia sincero? Il pop punk, per come lo interpreto io, non vuole assolutamente essere una forma di rivolta sociale. Al contrario incarna tutto il fancazzismo di un ragazzo under trenta che ha solo voglia bere, scopare, drogarsi e prendersi poco sul serio (ride ndr.). La politica non è qualcosa che mi riguarda: vorrei ricordare agli adulti che ho ventitré anni. Lasciatemi divertire finché posso, cazzo!

Quindi il punk che ti piace è quello esploso a fine anni Novanta, corretto?
Sì, esatto. Quello dei Blink182 e dei Sum41. I Green Day li ho ascoltati molto, ma loro sono più impegnati, specie in alcuni album.

Rimaniamo in America: mi racconti un po’ la scelta di citare nel tuo disco tutto il mondo delle confraternite dei college?
Rebel cita l’immaginario di American Pie probabilmente perché il proibito è sempre affascinante. Vedi, da piccolo i miei genitori mi vietavano di vederlo perché portava in scena un mondo fatto di droghe, sesso e in generale era pieno di temi politicamente scorretti.

E tu li ascoltavi, i tuoi genitori?
Ovviamente no (ride ndr.). Andavo da un mio amico e ce lo guardavamo di nascosto in videocassetta, che tra l’altro rubavamo a suo fratello. A quei tempi non potevamo neanche ascoltare Mr.Simpatia, figuriamoci tette al vento e marijuana.

La nostra generazione ha vissuto il sogno americano a distanza…
Sì, hai ragione. Quanto avrei voluto fare il College. Non avrei mai studiato eh. Ma avrei fatto ogni attività possibile, e ovviamente un sacco di festini. Calcola che in quegli anni accendevo la tv solo su MTV: ero completamente ossessionato da quel mondo.

Nel tuo disco parli spesso di genitori (penso ai brani Mamma non mi parla e Non ditelo ai miei). Che rapporto hai con loro?
Con Instagram ormai è quasi impossibile nascondere certe cose. Mia madre è al corrente quasi di tutto ma alla fine mi perdona sempre perché sa che sono una persona abbastanza precisa sotto certi aspetti.

A sì? Dimmi di più.
In pratica io mi concedo solo due giorni a settimana per distruggermi, ossia venerdì e sabato. Ma da domenica a venerdì pomeriggio sono determinato sul mio progetto e faccio una vita regolare. Mia madre ama il Diego che si dedica alla musica e Twitch, ma ovviamente odia il Diego che vive di eccessi.

Dai, da questa risposta ne esci molto bene. Se tua mamma dovesse leggere questa intervista, sei salvo.
Speriamo la legga allora (ride ndr.). Comunque ti giuro che è esattamente così.

Credi che gesto più punk in fondo sia proprio chiedere scusa ad una madre per gli sbagli fatti?
Assolutamente sì. Io chiedo sempre scusa a mamma ma non le prometto che non lo rifarò.

Parli di droga ma non lo fai nè in modo paternalistico, nè elogiativo e in generale i tuoi brani sono molto espliciti. Cosa ne pensi della censura nell’arte?
Io cerco sempre di non calcare troppo la mano. In certi brani addirittura critico aspramente la cocaina. Non amo il modo in cui si parla di droga nella scena trap, perché in fondo non c’è nulla da esaltare nel farsi del male attraverso gli eccessi da sostanze stupefacenti. Io mi limito a descrivere la droga, ma lo faccio in modo velato. La censura non dovrebbe esistere nell’arte. Limitare, opprimere o tarpare le ali ad un artista dovrebbe essere un reato.

Ho visto che durante lo show privato di presentazione di Rebel erano presenti molti streamer: da Jody a Greenbaud, ma anche il Masseo e Panetty: credi che la nuova leva di artisti – o più genericamente creativi – stia su Twitch?
Twich nel giro di due anni diventerà la tv dei giovani. È sempre più evidente che non parliamo di una piattaforma solo per ragazzi in cui si gioca alla PlayStation. Al contrario è uno spazio molto eterogeneo a cui si stanno aprendo pubblici sempre più vari: penso a Bobo Vieri che parla di calcio a persone forse più grandi di me e te, ma con risultati pazzeschi.

Su Twich tra l’altro è peculiare il tuo essere un Don Giovanni con le ragazze. Allo stesso tempo non ti vergogni nel metterti a nudo con tutti i tuoi difetti. Sei un mix di sicurezza e timidezza.
Assolutamente sì: sono uno sbruffone con le tipe ma allo stesso tempo una persona estremamente sensibile e dunque, per certi versi, timido.

Nel disco dici che fai musica solo per te stesso. Infatti hai pubblicato un album intimo e senza featuring. Immagino dunque che continuerai a fare musica senza seguire troppo le logiche del mercato. Ti mette paura l’idea di ritrovarti a dover accettare qualche compromesso?
Non mi mette paura perché non accetterò mai i compromessi. Io sono sempre stato chiarissimo con il management: voi spingete le mie cose, ma di base ognuno fa il suo lavoro. Fin qui non ci sono stati attriti perché ci muoviamo su rette parallele. In passato altre realtà mi hanno provato a modellare secondo i gusti e i trend del momento, per cui volevano che vicino alle chitarre, nelle mie strumentali, ci fosse un impianto sonoro trap. Io invece volevo fare punk rock, per cui ho detto no e sono tornato indipendente. È stata una guerra ma poi ho trovato i giusti partner per fare le mie cose. Ora sono felicissimo del mio entourage e so che il disco è uscito esattamente come lo volevo. Zero trap, solo buon vecchio pop punk.

Parliamo di ghost writer in un momento in cui sembra essere tornato un tema caldo in Italia dopo l’intervista di Esse a Fedez e a livello globale con il botta e risposta tra Damon Albarn e Taylor Swift. Tu da che parte stai?
Esistono due tipi di ghost writer: quelli che scrivono agli artisti testi e melodie, e che mandano per email il pezzo da eseguire. Poi ci sono i parolieri (il mio ad esempio è Andrea Bonomo). Ovviamente propendo per questa seconda formula. Se si vuole procedere nell’altro modo non c’è nulla di male, però mettersi sul mercato come autori dei propri brani sarebbe poco onesto verso gli ascoltatori e verso gli addetti ai lavori.

Polly è un tributo ad un brano iconico di Nevermind: la ragazza descritta da Kurt Cobain è una quattordicenne rapita da un pedofilo dopo un concerto punk. La tua Polly invece chi è?
Polly è una ragazza che ho conosciuto anni fa ma di cui non posso rivelare l’identità altrimenti me la trovo sotto casa con cattive intenzioni (ride ndr.). In parte ognuno di noi è vittima delle controindicazioni della nostra epoca: come la spunta blu e i like, ma è importante riuscire a prendere le distanze da certi atteggiamenti secondo me nocivi.

Ci sei anche tu dentro Polly?
Sì, io sono quello che la trattava bene e che ci è rimasto male, non il tipo che la portava alle feste e le comprava la coca.

Tu come vivi il fatto di essere un personaggio noto?
Non come Polly, certamente. Ho ansia per tante cose, ma non per la brama di popolarità. Se sto diventando un personaggio pubblico non posso che esserne felice perché lo associo ad una crescita come artista.

Che poi Kurt ha sempre sofferto il fatto di essere diventato il riferimento di una intera generazione. Tu senti il peso addosso della responsabilità che hai verso i tuoi seguaci?
I ragazzi comunque troveranno un riferimento, a questo punto meglio che seguano me che sono un coglioncello che vuole scopare, bere e divertirsi il sabato sera piuttosto che un trapper che va a fare le rapine ed osanna le droghe pesanti.

Stai lavorando ad un tour con la band, giusto?
Il punk è un genere che si esprime al meglio nella sua dimensione live. Dunque aspettatevi il pogo e tanto sudore. Immagino faremo parecchi festival, perché ho voglia di portare la band nel suo habitat naturale.

Abbiamo avuto un assaggio virtuale domenica scorsa nel metaverso. Da dove nasce l’idea?
The Nemesis, ossia l’azienda che ha creato l’app, mi ha contattato per propormi un concerto virtuale nel metaverso. Ho detto subito di sì perché in quel modo potevo trasferire più chiaramente ai ragazzi il concetto di confraternita e tutto l’immaginario visivo dei collage alla American Pie di cui parlavamo prima. Magari qualcuno, specie i più giovani, non avevano idea di cosa fosse e credo che questo concerto abbia fatto chiarezza in tal senso.

Credi che tu possa essere l’anello di congiunzione tra l’analogico e il digitale (ossia tra i concerti alla vecchia maniera e i live show nel metaverso)?
Ho fatto diversi concerti live su Twitch e ora anche questo su The Nemesis. È molto diverso perché il calore del pubblico puoi provare ad immaginarlo ma di fatto sei tu, con la tua chitarra, in cameretta, davanti ad uno schermo. Sarà bellissimo avere a pochi passi da me un pubblico in carne ed ossa, ma per ora mi accontento dei cuori viola in chat.

Diego ha curato per noi Confraternita: la playlist dei brani che lo hanno più segnato nella realizzazione di Rebel: