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All’interno del rap game, Bresh vuole solo una vita normale

Si dice che il secondo album sia sempre quello più difficile per un artista. Lo sa bene Andrea (da qui in avanti Bresh), che a distanza di due anni da Che io mi aiuti è tornato sulle scene con Oro Blu. Un disco personale e coraggioso, che permette di toccare con mano i sentimenti e gli stati d’animo che sono alla base del rapper genovese, qui poco più che nudo agli occhi del pubblico. La sensazione principale è quella di un Bresh che in fin dei conti non è mai cambiato, che nonostante tutto è sempre rimasto se stesso. E non poteva che essere altrimenti, d’altronde. Un rapper che in tempi così difficili – più che di fama – è quanto mai affamato di normalità.

Si dice che il secondo disco sia quello più difficile. Puoi confermare?
La realizzazione di un disco è sempre un parto. Ci sono dei tempi di consegna auto-imposti (e sottolinea auto-imposti ndr.) da rispettare e tutte le ansie legate al caso. Però devo dire che non è stato tanto pesante da mandarmi in paranoia. Quando andavo in studio e sentivo un bel beat, uscivo sempre con una strofa e un ritornello, alla fine. Forse la parte più complicata è stata quella legata alle collaborazioni.

A proposito di collaborazioni, quelle con Tony Effe e Massimo Pericolo attestano il tuo profondo legame con il mondo hip hop, seppur tu abbia una tua personale declinazione del genere. Come sono nate?
Ho deciso di collaborare con Massimo Pericolo perché, al di là delle differenze che possono esistere nel nostro modo di fare musica, penso che si possa dedurre un legame piuttosto visibile fra noi. Trovo che ci sia qualcosa – nella scrittura, nell’approccio – che ci unisca. Con Tony invece può risaltare qualche differenza in più, perché magari lui ha uno stile più aggressivo rispetto al mio. Apparentemente sembriamo appartenere a due poli opposti e penso che proprio per questo fosse divertente creare un contrasto simile. Credo che nella traccia con Tony (Fottiti ndr.) nessuno dei due si sia snaturato.

Resta il fatto che Se rinasco con Massimo Pericolo è davvero spettacolare dal punto di vista lirico. A un certo punto nel pezzo tu dici “Vorrei rinascere mio padre per non far nascere me”. Nonostante il successo e l’affermazione individuale nel tuo lavoro, hai dei rimpianti?
Non sento nessun tipo di successo, almeno per come lo intendo io. Sento però un successo personale, che va oltre quello di carattere numerico come quello che può essere derivato da un brano come Angelina Jolie. Rimpianti ne ho un casino, invece. Fortunatamente c’è stata la musica che è una cosa che non rimpiango. E di sicuro se potessi rinascere non vorrei essere un membro delle forze dell’ordine.

Quali sono le differenze tra Oro Blu e Che io mi aiuti?
Ci sono due anni di mezzo. Anzi, un po’ di più, visto che Che io mi aiuti l’ho scritto nel 2017 circa. C’è sicuramente una crescita anagrafica, una stabilità economica diversa e tutto quello che può derivarne. Però con una forte coerenza di fondo che caratterizza la mia persona e il mio percorso artistico. Insomma, è un insieme di cose.

Quali sono state le influenze musicali che hanno ispirato la scrittura e la produzione di questo disco?
Sono ancora molto legato alle cose che ascoltavo da pischello, che riescono tuttora a influenzarmi. Quindi il cantautorato di De André e il rap italiano, genere che ho sempre ascoltato grazie a nomi come Marra, Fibra, Club Dogo e tutto ciò che gravitava intorno a loro. Poi sicuramente anche qualcosa di americano.

Oro Blu è chiaramente un album molto personale. L’elemento personale, dell’essere se stessi sempre e comunque, pensi che sia un carattere fondamentale per fare musica in generale?
Credo che abbia un gran peso in generale. Pensa ad Andrea, per esempio. Non volevo nemmeno farla uscire come singolo. Poi mi sono convinto perché, dopo mesi di ascolto continuo, ho capito che quello era il singolo giusto. In un secondo momento mi sono anche un po’ spaventato, no? Perché è un brano molto intimo e esporti così tanto ti fa sentire un po’ denudato agli occhi della gente. Quando la scrivevo non avrei nemmeno mai pensato che l’avrebbero ascoltata in tanti. Quindi penso che abbia davvero un peso incredibile quella componente. E se riesci a mantenere una certa coerenza di fondo, senza snaturarti, hai vinto.

Restando su Andrea, hai detto che è il manifesto della tua musica e di quello che la vita ti ha insegnato fino ad oggi. E che poi è un brano che parla del tuo percorso, della ricerca del successo che si è trasformata in una scoperta di te stesso. Quali sono gli obiettivi del Bresh/Andrea di adesso rispetto a quelli del Bresh/Andrea di qualche anno fa?
Bresh
/Andrea vuole mantenersi. A livello personale e non economico (ride, ma non troppo ndr.). Vuole mantenere i propri amici e le proprie abitudini di vita. Per esempio, io vado allo stadio ogni domenica e vorrei che cose come queste rimanessero immacolate. Per continuare a fare quello che faccio in ambito artistico ho altrettanto bisogno di continuare a mantenere il mio stile di vita abituale. Pur sapendo che non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca.

Andrea caratterizza molto la spontaneità che può stare alla base di un percorso artistico. Penso, per esempio, a quando dici “Andrea cantava, cantava sempre di più, senza sapere chi stesse ascoltando, senza sapere nulla di nulla”. Quanto credi che sia importante per un artista questo aspetto?
Credo che sia la regola numero uno, insieme all’originalità. Magari essere originali non vuol dire essere se stessi. Però, alla lunga credo che essere se stessi sia la cosa che veramente conta e che fa la differenza in un percorso artistico.

Il titolo dell’album è un chiaro riferimento all’acqua quotata in borsa e vuole sottolineare quanto anche le cose più necessarie abbiano un prezzo. Cosa per te non ha prezzo?
Direi i rapporti sociali, le persone, gli amici.