La parabola dei R.E.M., conclusa dallo scioglimento ufficiale del 2011, rappresenta forse il tentativo più riuscito di traghettare l’indie-rock (o college rock come si chiamava allora) sul grande palcoscenico del mainstream. In principio alternativi ed enigmatici, i R.E.M. della seconda fase saranno capaci, pur senza snaturare la loro identità, di volare verso il successo mondiale a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta. Nella loro discografia c’è l’imbarazzo della scelta: tra Automatic for the People e Life’s Rich Pageant, le due anime del gruppo, quello più rock e quello più melodico/introspettivo, Michael Stipe, il carismatico frontman della band di Athens, però non ha dubbi e sceglie New Adventures in Hi-Fi, «perché è quello che riunisce tutte le anime del gruppo».
15. Reveal
Presentato come un disco per l’estate, ispirato al Beach Boys sound, è un album che alterna ottime canzoni a pezzi deboli e poco ispirati, il tutto condito da una sensazione di deja-vù che ha il sapore tanto di nostalgia quanto di minestra riscaldata. L’estate è in I’ll Take the Rain, Beach Ball, Summer Turns To High, gli acuti in All the Way to Reno ed Imitation of Life.
14. Around the Sun
Dopo la parentesi estiva Around the Sun ripropone i R.E.M. nella loro veste più consona: menestrelli malinconici di un mondo che corre troppo veloce per l’uomo. Un disco agrodolce, poco innovativo, ma che ha il merito attraverso le sue tante ballate malinconiche (Leaving New York, I Wanted to be Wrong, The Ascent of Man) di lasciare la scena ad una delle più belle voci del rock, quella di Michael Stipe, sempre al top.
13. Collapse Into Now
Nell’ultima fatica degli ormai tre di Athens confluisce una sorta di compendio di quello che i R.E.M. sono stati in quasi trent’anni di carriera. Ballate oscure ed introspettive, brani diretti e melodici con la piacevole aggiunta della partecipazione di guest stars d’eccezione come Eddie Vedder e Patti Smith. I R.E.M. sono pronti a lasciare quando sentono di aver ormai dato tutto, dimostrando carisma e personalità da vendere.
12. Accelerate
Dopo il melodico e forse un po’ troppo amorfo Around the Sun, Stipe e soci tornano ad accelerare inseguendo il grintoso psych folk rock di “Life’s rich pageant”. Tornano le elettriche schitarrate di Peter Buck mentre non ci abbandonano mai i coretti di Michael Mills e i vocalizzi di Stipe. Supernatural Superserious, scelto come singolo, è uno dei migliori brani dei R.E.M. dell’ultima fase.
11. Fables of the Reconstruction
La cupa copertina e gli altrettanto cupi toni – che ci accolgono già dalla prima traccia Feeling Gravitys Pull – ci ricordano come l’album, che esplora i luoghi comuni e le tradizioni del sud degli Stati Uniti, sia stato concepito in un momento in cui correvano gravi tensioni in seno alla band. Un album difficile e cervellotico al primo ascolto ma un piccolo capolavoro di eccentricità. Quella stessa eccentricità celebrata in almeno quattro brani dell’album: Wendell Gee, Maps and Legends, Old Man Kensey e Life and How to Live It.
10. Reckoning
Nonostante il buon successo ottenuto con il precedente album Murmur, Reckoning è l’album che segnerà la consacrazione del gruppo statunitense. Meno tenebroso del predecessore, Reckoning è un album più immediato, più facile da ascoltare. Già con Harborcoat si intuisce la scelta di un sound leggermente più rock. So Central Rain è la track più riconoscibile ma l’acme si tocca con Time After Time, un vorticoso crescendo di chitarre e batteria.
9. Document
È l’album con il quale, grazie al milione di copie vendute, i R.E.M. escono dalla scena underground dove fin lì erano rimasti confinati. Un disco dal sound tipicamente on the road all’americana. Le sonorità da rock-radiofonico sono squarciate solo dal meraviglioso sax nel finale di Fireplace e le distorsioni di Oldfellow Local 151. C’è ancora spazio però per il capolavoro vocale, a tutta velocità, di Michael Stipe, It’s the End of the World as We Know It, uno dei brani più famosi della loro carriera.
8. Up
Il primo album in tre dei ragazzi di Athens è un tentativo di esplorare il conflitto tra scienza e spiritualità. Orfani di Bill Berry i R.E.M. cercano di tirarsi su (Up) pescando dal territorio mai esplorato dell’elettronica, mixata con canzoni melodiche ed intimistiche. Lotus, Daysleeper e At My Most Beautiful sono la ciliegina di un album espressione di dolcezza ed emozioni forti fuori dal comune.
7. Green
Il primo disco prodotto per una major (Warner Records) dalla band della Georgia è un disco di transizione tra il suono diretto della prima fase della carriera e quello più raffinato della seconda parte. Da un lato le scatenate chitarre di Pop song ’89 e Turn You Inside-Out, dall’altro lato le ballate You Are The Everything, Hairshirt e The Wrong Child. Nel mezzo due grandi singoli, il pop rock spensierato di Stand e la critica social-ecologista Orange Crush.
6. Monster
Dopo la doppietta Out of Time–Automatic for the People, i R.E.M. danno vita a quello che probabilmente è il loro disco più roccheggiante. Michael crea dei personaggi davvero inquietanti, dei mostri come il disegno di un orso sfocato su uno sfondo arancione della copertina. C’è il manipolatore dello show business di King of Comedy, l’amore patologico di Bang and Blame, il fanatismo malato di I Took Your Name, la sessualità ambigua di Crush with Eyeliner. What’s the Frequency, Kenneth? inquietante e profetica in pieno stile nonsense è la traccia più nota e probabilmente la migliore rappresentazione della follia cantata in questo album.
5. New Adventures in Hi-Fi
Nato dalle viscere del “mostro” è il disco preferito – per sua stessa ammissione – da Michael Stipe, ma è anche l’ultimo grande lavoro dei quattro di Athens prima che la band cambi pelle con l’uscita del batterista Bill Berry, diventando un trio. New Adventures in Hi-Fi è che il disco più vario della carriera della band, un album che passa dal rock sfacciato alla Monster come The Wake-Up Bomb a ballate acustiche come E-Bow the Letter e si conclude con Electrolite, dedicata a Los Angeles, la perla dell’album.
4. Lifes Rich Pageant
Dopo le lugubri e discusse atmosfere di Fables Of The Reconstruction si riaffaccia una luce di ottimismo e speranza. «La vita è un ricco spettacolo», dichiara la band georgiana che tra piogge acide (Fall On Me), Sudamerica (Cuyahoga, The Flowers of Guatemala) e cinguettii di uccelli (Henya) torna a cantare finalmente con il sorriso e il consueto umorismo. Resterà l’unica collaborazione con il produttore Don Gehman, ma probabilmente decisiva nell’imprimere una svolta al sound del gruppo, arrivando a fissare anche un nuovo standard sonoro per la musica alternativa americana.
3. Murmur
Il debutto dei quattro di Athens è una peculiare via per il successo che recupera sonorità sixties (Velvet, Who) e le combina con il punk e la new wave. il risultato è un grande capolavoro pop ma, soprattutto, un album che più di ogni altro ha cambiato le coordinate della musica alternativa degli anni Ottanta. L’overture Radio Free Europe è subito un successo, Talk About the Passion è il prototipo della R.E.M.-song, la lenta Perfect Circle poggia su armonie dimesse e minimali, marcatamente country-rock è invece la meravigliosa Catapult. Murmur è la pietra angolare di tutta la produzione successiva dei R.E.M. e di tanto indie-rock che verrà.
2. Out of Time
Pur sentendosi fuori dal tempo e lontani dalle mode discografiche Out of Time è il disco del successo planetario, grazie naturalmente anche a Losing My Religion, una canzone a suo modo perfetta grazie all’iconica linea di mandolino. Spigolature rock e morbidezze folk si incontrano in uno splendido equilibrio, che allo stesso tempo calma ed estasia i sensi. Non vi è al suo interno una sola canzone che il tempo non abbia trasformato in una hit. Brani che mantengono ancora oggi invariato il loro stato di grazia.
1. Automatic for the People
È passato appena un anno dall’uscita del lavoro che aveva fatto dei R.E.M. una delle rock band più popolari del pianeta quando esce Automatic for the People, un lavoro dalle atmosfere rock ma dal tono incredibilmente pacato ed intimo. Un disco che, ad ascoltarlo oggi, sembrerebbe quasi un greatest hits, per quanti classici riesce a contenere in una sola tracklist. Automatic for the People – il titolo è lo slogan di un tavola calda di Athens – è un disco sulla vulnerabilità e sulla mortalità: canzoni come Try Not to Breathe, Sweetness Follows e soprattutto Everybody Hurts sono inni universali sulla condizione umana e poi c’è Man On the Moon, la canzone più remmiana, dedicata al comico Andy Kaufman.