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“Vita da Carlo” è il greatest hits (politically correct) di Verdone

«Seguitemi bene in questa mia straordenaria intuizione: al posto del fiume una lunga lingua d’asfalto a tre corsie. Los Angeles. Risultato? Traffico azzerato, inquinamento disintegrato, guardo a destra e vedo verde, guardo a sinistra e arivedo verde. Guardo in alto e vedo le rondini, senza l’ombra di un gabbiano. Non ci sono più gabbiani. Eccone uno: vattene al mare che te lo abbiamo pure ripulito. Guardo davanti: se score. Finalmente se score a Roma». Questo era il programma di Armando Feroci, interpretato da Verdone in Gallo cedrone, per farsi eleggere a Roma. In effetti quasi una predizione di ciò che iniziò a materializzarsi qualche anno più tardi per il popolare attore romano quando, stando ad un sondaggio pubblicato da alcuni giornali, una larga fetta dei suoi concittadini lo avrebbe voluto sindaco e la politica ci fece pure un pensierino. Ma non lui. Vita da Carlo nasce esattamente da questo: l’idea che lui, artista popolare e molto benvoluto, sull’onda emotiva del voler mettersi a disposizione della sua bella Roma, possa candidarsi a diventarne il primo cittadino. Tra realtà e finzione (molta finzione).

Certo, alcuni aspetti narrati nella serie della sua quotidianità sono sicuramente veri. Per esempio la sua popolarità, il grande rispetto e affetto che tutti hanno per lui, ma anche l’invadenza della gente comune, le continue richieste di ripetere all’infinito la galleria di personaggi che lo hanno reso celebre. Quest’ultimo aspetto rende questa serie un mini greatest hits della sua carriera, va detto. Ma c’è anche la voglia di smarcarsi rispettosamente da quel tipo di personaggi. Ed infatti la prima scena ci porta oniricamente nel suo sogno di vincere la Palma d’Oro a Cannes per un film drammatico. Sicuramente non sono reali i suoi familiari e non sono affatto certa che Max Tortora sia il suo migliore amico. Speriamo però per Carlo che l’attico utilizzato per essere casa sua nella serie lo sia veramente perché è semplicemente strepitoso. Forse la cosa migliore vista nei dieci episodi perché, a costo di compiere il reato di lesa maestà, qualcosa su come è stata sviluppata la narrazione di questa serie bisogna pur dirla. Al netto del fatto che Verdone fa sé stesso (più o meno) ed è bravo a prescindere, per il resto stiamo parlando di una sitcom molto soft, che fa sicuramente sorridere ed a tratti anche strappa qualche risata, ma ha una formula talmente tarata sul politically correct che, se non fosse per il continuo rollare di spinelli di uno dei personaggi o per cinque minuti di caccia alla pillola del giorno dopo, questo è un prodotto che potrebbe essere tranquillamente adatto al pubblico di Rai Uno.

Non diciamo che si debba arrivare ai picchi di irriverenza e sarcasmo de Il metodo Kominsky, però qualcosa in più poteva essere fatto. La fatica del vivere quotidiano, del non poter stare in pace neanche in camera da letto, del riuscire a ricavarsi un’oasi di pace solo sul proprio terrazzo curando le piante e fumando, la passione senza vera passione per la farmacista, il potere suggestivo dei social rispetto alle questioni politiche: tutto raccontato senza mai andare a fondo su nulla. È un vero peccato perché tutti questi ingredienti avrebbero potuto comporre un piatto ben più saporito se non gustoso (o forse, semplicemente, mi aspettavo troppo da un monumento come lui). Quindi? Abbiamo preso il buono che c’è in questa serie, ossia quell’atmosfera malinconicamente ironica che Carlo Verdone è un maestro nel creare.