Il duello di Dio è una contesa giudiziaria che veniva risolta attraverso il combattimento tra i due contendenti; si riteneva che l’esito del duello non dipendesse tanto dal valore con le armi di questi ultimi, quanto piuttosto dal giudizio di Dio, che non poteva che premiare colui che era nel giusto. Ridley Scott torna ad abbracciare l’amato genere del kolossal epico per descrivere l’ultimo combattimento giudiziario della storia di Francia, avvenuto nel XIV secolo. Lo fa ricorrendo ad un cast eccezionale: Matt Damon e Adam Driver nei panni dei duellanti Jean de Carrouges e Jacques Le Gris, Jodie Comer (Killing Eve) in quelli della sventurata Lady Marguerite ed, in secondo piano, un ossigenato Ben Affleck ed Alex Lawther (The End of the F***ing World), rispettivamente il lascivo conte Pierre d’Alençon ed il sadico re di Francia Carlo VI.
Tutto ruota attorno al grande coraggio di Marguerite, disposta a mettere in gioco il proprio onore e la propria vita pur di perseguire il suo aggressore, l’affascinante ed altolocato Le Gris, reo di averla stuprata dopo essersi infiltrato con l’inganno nel suo castello. La vicenda – ed è questo il più grande merito della pellicola – è narrata (ispirandosi al grande Rashomon di Akira Kurosawa) per tre volte, filtrata attraverso gli occhi dei protagonisti principali: il rozzo marito cavaliere, lo scudiero amante/stupratore ed infine la vittima. Soltanto l’ultima delle tre storie è però sottolineata dal regista con l’inequivocabile etichetta “la verità” ma, poiché siamo nel violento e maschilista medioevo, quello della Guerra dei Cent’anni e della Peste Nera, nessun organo giudiziario si prende la responsabilità di tutelare la vittima e perseguire il malvagio.
Lo stupro di Marguerite diventa allora un “affaire” tra ex compagni d’arme, il burbero marito De Carrouges, che si sente defraudato della sua ennesima proprietà e Le Gris, troppo narcisista ed orgoglioso per permettere che il suo nome sia ricoperto d’infamia con ingiuste accuse. L’epico duello finale alla Il Gladiatore, oltre ad essere un piacere per gli occhi, rimetterà la questione «nelle mani di Dio», come più volte sentiamo ripetere durante le due ore e mezza di The Last Duel. Se è davvero apprezzabile l’intento di creare un ponte dialettico tra una vicenda lontana nel tempo trattata però in modo intimo, quasi domestico, stridono invece alcuni dialoghi molto poco medievali che, in certi casi, finiscono per disturbare se non addirittura squarciare l’atmosfera cavalleresca sapientemente costruita nella pellicola.