dark mode light mode Search Menu
Search

Nessuno meglio di Ryan Murphy sa raccontare la comunità LGBTQ+

Si è conclusa con la terza stagione Pose, la serie queer creata da Ryan Murphy per Netflix che si ispira al mondo delle ballroom e a documentari come Paris Is Burning. Questo è uno dei momenti che avrei voluto non arrivassero mai, poiché il solo pensare di non vedere più Blanca, Pray Tell e gli altri mi rende davvero triste. Soprattutto, mi intristisce sapere che difficilmente vedremo un altro prodotto capace di far luce su una serie di argomenti tanto attuali. Ambientata nella New York a cavallo tra gli anni Novanta e ‘Novanta, Pose e Netflix utilizzano un linguaggio universale fatto di eccessi, lustrini, musica e colori per andare più a fondo, scavando nelle vite di personaggi che creano una propria dimensione alternativa e notturna in quanto emarginati da quella esterna alle sale da ballo: la loro unica “colpa” è quella di essere gay, trans, neri e latini. Pose colpisce non solo perché è oggettivamente una bella serie, ma soprattutto perché è reale: la scena delle ball e delle House è stata creata da persone realmente esistite e realmente discriminate, anche dagli stessi membri della comunità LGBTQ+ perché, come viene spesso detto anche dai concorrenti di RuPaul’s Drag Race, «non si può essere sia neri che gay». Le storie che vediamo nel corso delle tre stagioni sono reali, così come le gioie, i dolori e le paure.

Non sembra di star guardando una serie tv, ma di sedersi realmente al tavolo della House of Evangelista per una cena con tutti i personaggi; di consolarsi mentre si piange la morte di Candy (riferimento a Venus Xtravaganza, giovane donna transessuale uccisa da un cliente mai identificato); di farsi forza a vicenda mentre si attende l’esito del test per l’HIV – tema che viene finalmente affrontato in maniera dignitosa. E nonostante ciò non c’è stato un solo momento in cui non mi sia sentita inadeguata, perché ho avuto la fortuna di avere un privilegio senza aver fatto nulla per potermelo meritare: sono nata caucasica, cisgender ed eterosessuale, e non ho mai subito discriminazioni per questo, a differenza dei tantissimi membri delle comunità a cui Pose dà finalmente una rappresentazione di tutto rispetto, e soprattutto una voce. Questo deve essere il grande compito dell’audiovisivo, commuovere gli animi e soprattutto muovere le coscienze: i registi hanno il grande potere di raggiungere tramite le immagini il mondo intero, ed è allora doveroso far sì che questo possa migliorare e migliorarsi. E allora sì, Pose mi mancherà tremendamente perché con la sua fine se ne va anche una famiglia, quella che mi sono scelta ma che non per questo mi ha dato meno amore.