Proviamo, come dei piccoli chimici, o degli chef in erba se la metafora culinaria vi aggrada di più, a prendere una serie di ingredienti (o composti), metterli insieme e vedere a che risultato portano. Siamo all’inizio degli anni Novanta, una delle rock band più scatenate del momento si ritira in una mansion alle porte di Los Angeles per registrare il suo nuovo disco. Aggiungiamo un pelino di esoterismo: la suddetta mansion è stata per un po’ di tempo la dimora del mago Harry Houdini e, a quanto pare, a detta dei nuovi inquilini, il posto pullula di fantasmi non meglio identificati. Infine, per non farci mancare nulla, alla direzione dei lavori troviamo uno ieratico Rick Rubin, autorità indiscussa per quanto riguarda la produzione discografica in ambito rock. Il risultato? Blood Sugar Sex Magic dei Red Hot Chili Peppers. Apice indiscusso della loro produzione discografica, il disco è una cristallizzazione di tutti gli elementi che hanno sancito la fortuna della band: una sapiente miscela crossover (perdonate il termine ormai stra-abusato) di funk, punk, hard rock e rap. Questa commistione, tipica del rock alternativo anni Novanta, tuttavia, non risulta mai dozzinale e ci regala un disco cult, in tutti i sensi. Una solidissima sezione ritmica nelle retrovie fa da cornice per la versatile chitarra di Frusciante che, considerata la sua giovanissima età nel periodo di registrazione, dimostra un’assurda padronanza dello strumento. Chiunque voglia imparare a suonare la chitarra elettrica dovrebbe ascoltare questo disco inginocchiato sui ceci, con somma devozione. Senza dilungarci troppo, proviamo a stilare una classifica dei brani presenti nel disco, dal peggiore al migliore.
17. They’re Red Hot
Un palese divertissement del quartetto californiano che propone, per ovvi motivi, in chiusura del disco, una versione cabarettistica del brano originale di Robert Johnson, leggendario bluesman americano.
16. Breaking The Girl
Brano che ha l’ingrato compito di lasciarci intravedere i Red Hot Chili Peppers successivi (sigh). Il brano parla dei continui flirt di Kiedis e si dimostra essere uno dei più melodici del disco. Da ascoltare e riascoltare l’evocativo bridge in chiusura.
15. Mellowship Slinky in B Major
Un’apertura che sembra un riff di chiusura. Kiedis sopra le righe, capace di cambiare innumerevoli registri, dimostra una maturità stilistica inaspettata.
14. I Could Have Lied
Parla della breve relazione che il cantante ha avuto con Sinéad O’ Connor. Insieme a Under the Bridge, è una delle vette melodiche dell’intero album. Questa inclinazione per sonorità più morbide e sentimentali si può perdonare facilmente per i magistrali tocchi da maestro di Frusciante, che con le sue incursioni di chitarra distorta regala momenti struggenti. Da pelle d’oca.
13. If You Have to Ask
L’istrionismo è una delle caratteristiche principali dei Red Hot Chili Peppers (per gli scettici: andate a vedere come suonava Flea a Woodstock 1999). e qui la sentiamo prevalentemente nei coretti del ritornello e nelle sonorità acute che accompagnano il brano. Il rapping dimesso della strofa fa da bilanciamento al resto.
12. The Power of Equality
Un’apertura degna di lode. Brano potente dal quale affiora una sensibilità per i temi sociali quali uguaglianza, sessismo e pregiudizio, dando un valore aggiunto non indifferente.
11. Apache Rose Peacock
Un brano emblematico che rende palese l’evoluzione stilistica del quartetto californiano. In lontananza è possibile sentire l’eco dei dischi successivi, un incrocio fra il funk rock scanzonato degli esordi e i futuri Red Hot Chili Peppers di Californication.
10. My Lovely Man
Se proprio si è costretti a scegliere, forse qui ci troviamo di fronte ad uno dei riff più belli dell’intero album. Chitarra e basso vanno all’unisono nella strofa e nel ritornello fino ad arrivare a un delirio orgiastico di suoni nell’assolo di chitarra (ho già detto che gli aspiranti chitarristi devono sapere questo disco come l’Ave Maria?).
9. Funky Monks
Un funk rock rilassato, più disteso rispetto all’andamento generale, di ampio respiro strumentale.
8. Blood Sugar Sex Magik
L’inizio dimesso fa da contraltare al ritornello pompatissimo, in una formula dinamica che ricorda un po’ quella cara a Kurt Cobain (strofa calma – ritornello forte). Frusciante continua a regalare riff memorabili.
7. Under The Bridge
Quello che non doveva nemmeno essere un brano oggi fa parte del repertorio fisso del gruppo. Sotto richiesta di Rubin, una poesia che Kiedis aveva scritto per parlare della sua dipendenza dalle droghe diventa una super ballad che regala grandi emozioni negli stadi. Uno di quei pochi momenti mielosi che non ti fanno venire voglia di praticare autolesionismo con la puntina del giradischi.
6. The Righteous & the Wicked
L’eclettismo di Frusciante si vede in questo pezzo. Passa dall’introduzione con una chitarra talmente distorta che rasenta il rumorismo, rientra nei ranghi con la chitarra in clean nella strofa e conclude in bellezza con un riff puramente heavy.
5. Suck My Kiss
L’attacco a cappella “And i’m sailin’” lascia già intuire la manata che sta per arrivarci in pieno volto. Un riff pesantissimo, nervoso, articolato che pervade l’intera durata del brano. I Red Hot Chili Peppers dimostrano che i muscoli non sono soltanto quelli che sfoggiavano durante i concerti, suonando seminudi.
4. Give It Away
Ormai uno dei cavalli di battaglia della band. È scientificamente provata l’impossibilità di stare fermi mentre si ascolta questo pezzo.
3. The Greeting Song
Sotto richiesta di Rubin, Kiedis dovette scrivere un pezzo che parlasse esclusivamente di auto e di donne, come se si trovasse in una pellicola di Russ Meyer. Il riff d’apertura di Frusciante è qualcosa che difficilmente lascia indifferenti.
2. Naked in the Rain
Flea, per registrare il disco, seguì la filosofia del less is better, offrendo delle linee di basso scarne ma allo stesso tempo efficaci e limitando quanto più possibile slap e tecnicismi. Qui getta alle ortiche quel principio e addirittura ci offre un mini-solo memorabile.
1. Sir Psycho Sexy
Il brano più lungo e articolato tra quelli presenti. Si ha la sensazione di ascoltare una lunga jam session, come se un tradizionale brano dei Red Hot Chili Peppers venisse volutamente dilatato per dare ancora più risalto alle potenzialità degli strumentisti. Le molteplici sfaccettature dell’anima del gruppo, da quella spiccatamente funk rap a quella più melodica, si manifestano di volta in volta in una fluida continuità.