«Per problemi tecnici comunichiamo che i Buzzcocks non suoneranno questa notte. Al loro posto salgono sul palco dei ragazzi londinesi. Si chiamano Sex Pistols». Così il presentatore delle serate al Lesser Free Trade Hall di Manchester deve aver inconsapevolmente dato inizio alla stagione del punk e della new wave britannica. Era il 4 giugno 1976, o forse il 20. Su questo gli storiografi musicali non hanno le idee chiarissime. Scartabellando i vecchi calendari leggiamo che dev’esser stato un venerdì o una domenica. Il Lesser, ossia il piano inferiore del locale, (al superiore suonarono i Queen, i Pink Floyd e i Genesis) contava, quella notte, soltanto quarantadue anime. «Quante persone c’erano all’ultima cena?». «13, se contiamo Gesù Cristo». «Esatto. Ai grandi eventi non c’è mai una grande folla», dice Tony Wilson nella trasposizione cinematografica della vicenda dal titolo 24 Hour Party People. Come per l’ultima cena, anche a quel concerto, i presenti erano pochi ma buoni. Buoni a far musica, mi pare chiaro. Un po’ meno a fare quasi tutto il resto. Ci sono gli ex Stiff Kittens, poi diventati Warsaw, poi Joy Division e successivamente New Order. C’è Morrissey, che fonderà gli Smiths e Mick Hucknall che invece fonderà i Simply Red. Ci sono ovviamente i Buzzcock, che verranno ricordati, come detto, per aver dato il due di picche più dolce della storia del rock, e c’è appunto Tony, che ben presto fonderà la Factory Records, che è probabilmente l’etichetta più rilevante della storia di Manchester. Il nome, tra l’altro, pare fosse un tributo alla mitica Factory di Andy Warhol, ma quel che è certo, è sicuramente il riferimento alla struttura, che verrà sintetizzata nell’iconico logo della label.
Ma torniamo al concerto. Il biglietto, pagato cinquanta pence, indica la data sbagliata, anch’esso. Ma l’errore di battitura è sull’anno: 1076. Questo aneddoto la dice lunga sull’universalità di quella notte, immersa in un punto a caso nello spazio e nel tempo, di cui emergono dettagli puntualissimi e “buchi di trama” a dir poco inspiegabili. È come se un Dio si fosse divertito a girare il mappamondo in cerca di una meta e avesse poi pronunciato a caso una data qualsiasi all’interno della storia dell’umanità. Nessuno sa spiegare come questa accozzaglia di elementi randomici abbia generato il punk rock, ma l’ha fatto. Un po’ come per la nascita dello Spazio dopo il Big Bang. E i figli di quel grande scoppio, nella lunga notte di sesso musicale, (anzi verrebbe da dire di sesso e pistole) sono molte delle band del sottobosco crepuscolare della musica indie a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta. Lo stesso sottobosco in cui, circa quindici anni dopo, varie band come gli Oasis e i Chemical Brothers, giocheranno al gioco delle rockstar con discreti risultati. Tra i misteri che avvolgono questo racconto c’è senz’altro quello della presenza (o assenza) di Ian Curtis, che tempo dopo, una volta toccato il cielo con un dito, annoderà un capo del cappio all’attaccapanni e l’altro al suo collo, mentre sul piatto girava un vinile di Iggy Pop. Non sapremo mai se anche lui era presente quella notte, insieme agli altri membri della band, ma citando il documentario di Michael Winterbottom è proprio il caso di dire che quando devi scegliere tra la verità e la leggenda, scegli la leggenda.