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Scordatevi “No Roots”, ora Alice Merton vuole fare la rockstar

Emma Thompson ha confessato in un’intervista che preferisce le persone che hanno sofferto perché sono più gentili. In aggiunta alla sua osservazione, direi che la sofferenza rende molte persone anche più intelligenti, profonde, compassionevoli e, in molti casi, più capaci di prendersi cura degli altri. Alice Merton è seduta sul divano della sua abitazione a Berlino. La ragazza che a 28 anni ha conquistato le classifiche di mezzo mondo con un solo album all’attivo, oggi mi guarda e sorride. Alle prime battute della nostra chiacchierata su Zoom, a colpirmi è proprio la gentilezza. Dote rara ultimamente, ammettiamolo, soprattutto in questo mondo. La sua non dev’essere stata una vita facilissima, penso tra me e me. Dice di aver vissuto fra traslochi e scatoloni, da una nazione all’altra, fin da bambina (è questo il tema centrale di No Roots, il pezzo che più di tutti l’ha resa famosa). Le chiedo stupito se le manca mettere le radici in qualche posto nel mondo, e mi risponde che in realtà le manca viaggiare, «mi manca moltissimo. Amo stare in posti diversi, ho amici in diverse città e li vedo con costanza». Dopo pochi istanti di silenzio ammette però che «torna spesso quel sentimento di nostalgia, in cui vorrei avere un posto da qualche parte nella natura, in campagna, dove fermarmi e rilassarmi. In fin dei conti, penso che mi manchino entrambe le cose, in maniera diversa». Le chiedo dell’Italia, allora. Se ha nel cuore qualche scatolone di bei ricordi che la legano al nostro paese. «Sono venuta spesso – dice – Fin da piccola, con la mia famiglia. La prima volta sono stata in Toscana, e devo ammettere che è un posto meraviglioso. L’ho sognata spesso dopo esserci stata. Sarebbe un sogno aprire uno studio di registrazione nella campagna toscana, con una bella casa lì da qualche parte».

Alice torna sulle scene con un nuovo singolo, e una carica rock che fa sognare i live. Vertigo, il titolo del brano, è proprio quel concentrato di energia di cui ci siamo a lungo dimenticati. «Questa canzone è diversa, più rock rispetto al passato, è la canzone che vorrei suonare nei live. Quando ho sentito questo pezzo volevo già suonarlo dal vivo. Non sapevo che sarebbe stato un singolo, ma dato che ci sono molte cose che ci sono state tolte, concerti, live, festival, sento che questa canzone sia connessa a tutto questo, perché rappresenta quello che sto vivendo adesso, e che stiamo vivendo tutti: la voglia di tornare a suonare». A proposito di come è nata, mi dice che «il sentimento iniziale che ha ispirato la canzone è arrivato una sera, mentre uscivo con i miei amici. Stavamo andando in discoteca e ho iniziato ad essere ansiosa, agitata, molto spaventata. Ho avuto questa sensazione che solitamente ho prima di salire sul palco, mi capisci? Questo sentimento prima di cose semplici che chiamo “vertigo”, quando ti gira la testa, quando sei ansioso e tutto inizia a volteggiare intorno a te. Così mi sono sentita di scrivere qualcosa a riguardo. Sono andata in Canada, mi sono messa in contatto con un produttore di lì ed ecco come è nata la canzone». Mentre mi parla, passo tra le mani il suo album d’esordio, Mint. Lo comprai addirittura tempo prima di fare l’intervista, ed ogni pezzo che lo compone potrebbe essere un eventuale singolo. Però, a quanto pare, questo nuovo lavoro segna un cambio di rotta. «A causa di quello che è successo nel mondo tra il 2020 e il 2021, sono stata inspirata da diverse cose. Da un momento all’altro le nostre vite sono state sconvolte. Penso quindi che il lavoro che sta per arrivare non sia un continuum; piuttosto un vero nuovo capitolo. Ci sono somiglianze con Mint, è vero, ma c’è più varietà. Vertigo è semplicemente diverso, è rock».

È difficile immaginare Alice saltare fra chiassose chitarre elettriche, perché nel nostro immaginario le rockstar hanno tutt’altra faccia e tutt’altra verve. Ti guardano di lato, masticando visibilmente un chewing gum, e rispondono sbuffando ad ogni domanda. Lei invece sembra voler chiacchierare come un’amica al telefono. Eppure è una ragazza che colleziona dischi di platino come io facevo a dodici anni con le figurine dei calciatori Panini. È stata persino uno dei giudici di The Voice in Germania, e pensate, ha vinto anche lì. La prima coach donna ad aver vinto, e ad aver fatto vincere un’altra donna come concorrente. «Credo nel girl power – dice – Ma è ancora difficile essere donna nell’industria musicale. Penso comunque che sia positivo che si cominci a parlare delle difficoltà delle donne nel mondo della musica. Per molto tempo queste cose sono state accettate e basta». Appoggia i gomiti sulle ginocchia, e si avvicina al computer come a volermi fare una confessione: «Sai cosa? Spero che io possa avere ispirato altre ragazze a fare musica, a suonare strumenti. Spero di aver ispirato altre ragazze a eccellere in quei settori solitamente dominati dal mondo maschile. Spero di aver fatto passare il messaggio che noi siamo altrettanto forti e possiamo fare qualunque cosa facciano gli uomini. Spero di poter continuare ad ispirare donne e ragazze, a far capire loro che siamo in grado di fare tutto». Alice potrebbe essere perfettamente un bell’esempio di successo: gentile, caparbia, intelligente e molto fortunata. «È difficile vedermi come modello. Anche io sto crescendo, sto maturando. Io stessa non mi vedo come la persona che vorrei come modello, sono ancora all’interno di un processo di apprendimento in cui cerco di migliorarmi in ciò che so fare. Però se ci sono persone lì fuori che mi vedono come un esempio da seguire, e di questo ne sono molto onorata».

È una responsabilità tutta questa attenzione, e lei lo sa. Ma ora che non è più solo una studentessa del conservatorio di Mannheim, ripensa alla sua vita passata, quando ancora nessuno conosceva il suo talento. «Sai, alla fine non mi manca nulla di quella vita. Io vivo a Berlino e lì le persone non fanno caso se cammini per strada o vai al supermercato. Anche se vieni riconosciuta non importa a nessuno. Quindi questo non è mai stato un problema per me. L’unica cosa che è cambiata sono le aspettative. Ora ho aspettative molto alte per me stessa, mi interessa molto quello che le persone pensano della mia musica. Ovviamente continuo a fare la musica che mi piace, ma allo stesso tempo voglio anche che gli altri la amino. Questo è cambiato, la mia opinione sulla mia musica e su quanto mi stia a cuore che le persone la amino. Ora voglio condividere la mia musica con le persone e voglio che sentano qualcosa».
I suoi occhi sono ancora più teneri. Capisco Emma Thompson quando dice che le persone più gentili sono quelle che hanno sofferto di più e lo vedo dallo sguardo che ha ora, davanti a me. La donna che ho di fronte è andata oltre gli scatoloni che hanno affollato la sua infanzia. è cresciuta, vive nel suo tempo, senza dimenticare il suo spirito gitano. Oggi però Alice è soprattutto un’incredibile musicista. E sapete, togliere la musica, il pubblico, il palco ad un musicista è come privarlo dell’ossigeno di cui vive. È vederlo soffrire, boccheggiare come un pesce rosso fuori dall’acqua. Dopo qualche momento di silenzio le chiedo se c’è qualcosa che ha voglia di dire al suo pubblico, alle persone che prima si accalcavano alla transenna dei suoi concerti. Mi sorride. «Mi mancate moltissimo».


Traduzione di Giorgia Pampena