Come fanno tanti memers in questo periodo, proveremo a sbloccarvi un ricordo: avete di nuovo 13 anni, lo spettro di una pandemia globale è più lontano che mai, siete al parco con gli amici per godervi un bellissimo sole primaverile e per scambiarvi musica con il Bluetooth dai vostri rispettivi cellulari Nokia. Se la nostalgia ancora non è sopraggiunta per trascinarvi in un abisso di autocommiserazione, a farvi venire un magone allo stomaco basterà ricordare che musica ci si passava. Insieme alle AMV di Dragon Ball (rigorosamente con i pezzi dei Linkin Park), si iniziava a scoprire la musica rock: era uno scambio continuo di cellulare in cellulare, AC/DC, Green Day, Red Hot Chili Peppers e Guns N’ Roses. È curioso notare come venivano affiancati, senza nessun particolare criterio estetico, gruppi più recenti e le grandi glorie del passato. Oggi, con un po’ di maturità in più (forse), potremmo chiederci il perché. La risposta potrebbe essere più semplice di quello che sembra: banalmente, alcune band sono destinate a restare nell’immaginario collettivo, a superare il loro naturale processo di decadimento, distruggendo i confini generazionali. Detto con una parola sola, diventano dei classici. È quello che è successo ai Guns N‘ Roses, con i loro alti e bassi, e di cui, oggi, resta ancora un simulacro nelle magliette che i ragazzi indossano, senza sapere la storia che c’è dietro a quelle pistole e a quelle rose. Che siate fan di vecchia data, o che abbiate comprato una loro maglietta da H&M senza sapere nemmeno che fosse una band rock, non ha importanza, mettetevi comodi con noi e riscoprite tutta la loro discografia.
Chinese Democracy
L’album più sofferto della band losangelina. Dopo anni di registrazioni, cambi di formazione, con Axl unico membro della line-up originale rimasto al timone, il disco vede la luce diciassette anni dopo l’ultimo doppio album di inediti (Use Your Illusion I/II). L’ambizioso progetto del frontman è stato quello di trasportare i fan di vecchia data nel nuovo millennio, spostando il sound originale della band – una sapiente commistione di hard rock e sonorità glam – in territori nuovi. Il risultato: una decisa virata verso sonorità più elettroniche e industrial. Tastiere, chitarre trattate, batterie campionate e ibridazioni stilistiche alquanto bizzarre la fanno da padrone. Giusto per fare un paio di esempi: la ballata If The World apre con una batteria che ricorda molto da vicino le ritmiche trip-hop, accompagnata da una chitarra acustica spagnoleggiante e il tutto viene guarnito da una sezione di archi e chitarre elettriche super distorte; la title track, Chinese Democracy, sembra essere un classico pezzo dei Guns N’ Roses solo che viene ammantato di una produzione elettronica massiccia, creando non poca confusione. Volendo trarre delle conclusioni: è chiaro che l’intento era quello di creare un ponte fra il rock classico è qualcosa di nuovo ma, ed è questo il problema principale, sembra fatto con poca consapevolezza. È come se si tentasse di innestare delle braccia robotiche all’uomo di Neanderthal, probabilmente utilizzerà i suoi nuovi arti sempre per tenere in mano una clava.
G N’ R Lies
Considerato il secondo album della band, in realtà è semplicemente un ampliamento del loro EP Live ?!*@ Like a Suicide. Ai quattro brani live vengono aggiunte quattro tracce acustiche. Sicuramente è una chicca per i fan, che possono godersi i loro beniamini sotto una luce differente: i brani live sono legati ai loro esordi sulla scena hard rock di Los Angeles mentre i brani acustici (vale la pena segnalare Patience e Used To Love Her) valorizzano i virtuosismi della voce di Axl.
Use Your Illusion I/II
Un doppio album venduto separatamente in due dischi, Use Your Illusion I e Use Your Illusion II. È qui che l’ambizione compositiva della band inizia ad emergere, e il consolidato sound, ottenuto con il disco d’esordio, subisce notevoli mutazioni. Troviamo, come novità, le ballate November Rain e Don’t Cry, ad esempio. E la seconda, in particolare, mostra sia nella struttura che nei suoni una dimensione quasi orchestrale. Il brano Coma mette in risalto una spiccata componente narrativa mentre le cover Live and Let Die (Wings) e Knockin’ on Heaven’s Door (Bob Dylan) risultano esperimenti più o meno riusciti. Ci sarebbe tanto altro da dire su questo disco. Ci limiteremo a dire che, anche in questo caso, forse i Guns hanno fatto il passo più lungo della gamba. I brani riusciti sembrano perdersi in una bolgia di brani anonimi, che, nonostante abbiano il loro inconfondibile marchio e riprendono una tradizione musicale di tutto rispetto (su tutti sembra evidente un richiamo agli Stones e ai primi Aerosmith), alla fine hanno come unico merito quello di appesantire inutilmente l’ascolto.
Appetite for Destruction
Da tutti considerato il loro capolavoro. Il disco d’esordio della band contiene i loro migliori cavalli di battaglia: Welcome To The Jungle, Paradise City, Sweet Child O’ Mine. Ma, oltre alle canzoni più celebri, non sembra esserci traccia di riempitivi, il disco scorre liscio dall’inizio alla fine. Qui troviamo la ricetta che ha reso famosa la band: la musica glam, molto in voga negli anni ottanta, tutta belletti e capelli cotonati, viene riportata da Slash e soci in una dimensione molto più viscerale. L’hard rock e il glam si incontrano, senza disdegnare delle notevoli impennate punk (My Michelle, You’re Crazy). Le chitarre suonano riff incisivi, assoli memorabili e sembrano emergere come voci autonome in grado di duettare con la voce di Axl (in una forma strabiliante). Nota di merito anche per i testi, che oltre a ritrarre l’edonismo sfrenato dei membri del gruppo, disegnano anche lo squallido degrado urbano dei sobborghi di Los Angeles. È un disco che andrebbe riscoperto da tutti, fan e non, una pietra miliare che mostra le capacità di una band che, purtroppo, sembra essersi persa per strada. Un must have per tutti gli amanti del rock.