Sembra quasi uno scherzo del destino che Sign Your Name sia stato il brano che portò al successo nel 1987 Terence Trent D’Arby; ora quel nome non esiste più, dal 2001 al posto di Terence c’è solo Sananda Maitreya. L’artista che arrivò al successo con l’album Introducing The Hardline According to Terence Trent D’Arby e che riuscì a mettere d’accordo anche la critica musicale con il suo sound che univa il rock con la black music, non solo ha cambiato il nome ma anche la sua identità, la sua casa discografica e il suo modo di fare musica. Oggi Sananda festeggia il suo compleanno con l’uscita di Pandora’s Playhouse, ispirato e registrato completamente in lockdown nel suo studio di Milano (dove ora vive) e pubblicato da TreeHouse Publishing. È il suo dodicesimo lavoro discografico in cui ancora una volta l’artista si ispira alla mitologia greca tanto che Pandora’s Playhouse potrebbe definirsi l’ultimo anello di congiunzione della sua saga iniziata con Angels and Vampires nel 2007. Il doppio album di inediti interamente scritto, prodotto, suonato e arrangiato da Sananda Maitreya, fatta eccezione per le collaborazioni con Irene Grandi (Time Is On My Side), la band australiana The Avalanches & Vashti Bunyan (Reflecting Light) e Antonio Faraò (Pandora’s Plight), è stato preceduto dall’uscita del singolo In America dove, secondo lui, caos, corruzione, confusione, divisione, manipolazione e negligenza portano alla dannazione. «Ci sono cose che apprezzi, come outsider, della cultura in cui vivi; ora sono in Italia ho imparato ad accettare l’America per com’è perché non sono costretto a viverla – spiega in collegamento Zoom – Purtroppo, l’America è soggetta ad apparire in un modo molto negativo; uno dei motivi è il problema del razzismo, il modo in cui è stato gestito. Guarire dal razzismo in America, se mai fosse possibile, sarebbe qualcosa di molto difficile, impedisce a una comunità di evolversi grazie alla meritocrazia, ogni comunità ha il diritto di accogliere le persone che vengono da fuori, tutte le culture devono crescere ed essere in grado di progredire in un’atmosfera amichevole».
Se nel 2017 fu la volta di Prometheus & Pandora, ora ritroviamo nel titolo solo la prima donna scesa sulla Terra per volere di Zeus; sì perché Prometeo anche se non è citato nel titolo esiste ancora, rimane sempre presente in Prometheus Rising, brano strumentale che celebra la forza maschile che non ha bisogno di esprimersi molto se non con la sua presenza. Come gli altri album che lo precedono Pandora’s Playhouse è un flusso di pensieri che racconta in musica il viaggio dell’artista sulla consapevolezza ritrovata, la stessa di Pandora, detentrice della verità temuta da tutti. Il vaso di Pandora per Sananda non rappresenta la fuoriuscita dei mali del mondo, ma al contrario è l’aprirsi al mondo e affrontare anche attraverso il dolore la realtà, ma soprattutto la paura di rimanere da soli. Tutti questi concetti sono trasferiti nei brani molto differenti uno dall’altro perché non seguono un unico stile, l’ascolto spazia da pezzi strumentali e classici accompagnati dal pianoforte, a canzoni dal ritmo più pop per arrivare all’elettronica. La trasformazione di Sananda consiste proprio in questo non seguire gli schemi che l’industria discografica impone all’artista, ma soprattutto non rispettare quelle che possono essere le aspettative del suo pubblico; Maitreya ha rinunciato a queste strutture per seguire la sua vera vocazione. «Occorre sfatare il mito che l’artista non ha limiti, io mi sono messo nella posizione di non averne, ma poi sono io stesso a pormeli. Mi sono imposto una struttura e cerco sempre, quando mi appresto a registrare un nuovo progetto, di rientrare in quello che mi sono prefisso. Quello che ho lasciato alle spalle è l’idea di un preconcetto su ciò che la mia musica dovesse diventare; poter lasciar fuori qualsiasi tipo di distrazione esterna e focalizzarsi su quello che sentivo per la mia musica». E a proposito di spiritualità aggiunge: «Non la vedo come qualcosa che io vivo ma come qualcosa che c’è nella mia vita; non è una filosofia ma è il modo in cui affronto giorno dopo giorno la mia vita sia come artista che come persona. È necessario essere il più onesti possibile con l’essere consci di essere un po’ fuori di testa. L’artista è sia una finestra che un ponte che porta dalla realtà dell’immaginazione alla realtà dell’esistenza; due mondi uniti dalla forza creativa dell’artista con la sua follia».
Nell’album sono presenti alcuni brani dedicati a personaggi e artisti che Sananda ha avuto modo di incontrare in alcuni anni della sua vita; in primis l’attore Rod Steniger leggenda del cinema (The Ballad Of Rod Steiger), narratore delle storie leggendarie sull’età dell’oro di Hollywood; Smokey Robinson (The Ballad Of Smokey Robinson) definito da Bob Dylan il più grande poeta d’America; un’ode a un uomo che ha avuto parole gentili e di apprezzamento nei confronti di Sananda alla fine degli anni Ottanta, quando si sono incontrati. E infine, ma non per importanza, un omaggio a Prince (Prince!), una canzone strumentale, semplice e sincera per onorare la vita meravigliosa del suo amico e mentore. «Ho voluto in quest’album creare un brano che omaggiasse Smokey Robinson perché ho realizzato quanto la sua musica, specialmente all’inizio della mia carriera, avesse avuto una forte influenza; è anche una canzone che spiega il passaggio generazionale, racconta ai giovani quanto siano state importanti alcune pietre miliari della musica come Smokey Robinson», dice. E per Prince!: «Da quando avevo 11 anni per me Prince è stata una leggenda che ha influenzato molto la mia musica. Dedicargli in questo album una canzone strumentale è stato come mettere nero su bianco il mio folle amore nei suoi confronti, sia artistico che personale». Oltre a Pandora’s Playhouse, Sananda durante il lockdown ha registrato una trasmissione – Post Millennium Review – creando delle playlist che spaziano tra vari generi musicali (dalla classica, al rock, all’elettronica, all’ R&B), in cui spiega come le canzoni, ma anche alcuni artisti, abbiano influenzato la sua musica negli anni: «È un’opportunità per me far conoscere musica che non sia necessariamente ascoltata in modo consecutivo e tutta insieme; ma soprattutto un’occasione per far ri-conoscere o scoprire artisti che sono stati un po’ dimenticati».