Quando si parla di wave nella musica è impossibile non connettere nella testa questo termine alle subculture che genera. Basti pensare al punk dei Sex Pistols, al post punk a cavallo tra Settanta e Ottanta dei Joy Division, al grunge di inizio anni Novanta dei Nirvana o al britpop degli Oasis. Questi movimenti sono anzitutto sociali, solo in secondo luogo, musicali. È chiaro che la storia della musica sarebbe sopravvissuta anche senza i Cani, i Thegiornalisti, Calcutta e Gazzelle, ma è evidente che a livello di tessuto sociale i venticinquenni di oggi non sarebbero esattamente quel che sono se non avessero incontrato, vissuto e toccato con mano il movimento indie – o itpop – italiano. Oggi tutto questo sembra vecchio e fuori contesto; la verità è che il nuovo pop nasce dalle ceneri di quella wave. Non tutti sono riusciti a salire sul carro del mainstream, ma alcuni di questi hanno scavalcato quel muro – o forse meglio dire spartiacque – che era stato costruito da Niccolò Contessa il giorno in cui ha preso in mano la svolta soft rap di Coez (lo stesso Contessa che peraltro con i Cani aveva creato proprio l’universo sociale e musicale indie). Negli ultimi sette giorni parte della scena cui facevamo riferimento ha rilasciato nuova musica, quasi a dire: indie’s not dead.
Febbraio 1976. Cento lire in fondo alla tasca. Un jukebox, i colori, le luci, il suono sordo della monetina che cade e la puntina che corre sulle incisioni del vinile. È questa la sensazione agrodolce a cui Nessun perché di Franco126 (al secolo Federico Bertollini) rimanda. Un funky da balera, intriso di cantautorato, ma riportato a noi, quarantacinque anni dopo, attraverso un macchina del tempo chiamata Ceri Wax. Si parla di un amore che potrebbe finire, ma che non è ancora finito, delle sliding doors del cuore, dei vorrei che si affollano nei testi di Franco dai tempi di Brioschi, (che da lunedì, peraltro, è certificato platino da FIMI). Materiale di indagine per uno psicoterapeuta, insomma, o per un cantautore. Il cortocircuito sta nell’accostamento di bpm che fanno muovere le gambe, a tematiche languide ed esistenziali, per quanto assai comuni e quotidiane. Un motivo in più per mantenere saldo Franco126 nell’Olimpo dei narratori più rilevanti della contemporaneità, benché lo faccia con un linguaggio ed una poetica presi in prestito da mondi che risiedono nel passato.
A volte se durante il giorno ci si incrocia con una persona, ma magari solo di sfuggita, oppure una conversazione su Instagram resta irrisolta, è probabile che nella notte si sogni quella determinata persona. Questo perché il nostro cervello è una complessa calcolatrice che per anni scioglie nodi, ancora e ancora. Da quel 27 luglio dello scorso anno è come se fosse stata un’unica lunga notte di incubi per i fan dei Canova, di quelli in cui devi rincorrere qualcosa ma non riesci, e alla fine poi ti svegli, ed è tutto più facile. Ieri alle zero zero, mentre il mondo si addormentava e il sedici febbraio diventava diciassette, molti figli di quella stagione musicale che chiamavamo indie si è svegliata da un lungo incubo. Era chiaro che i Canova per come li abbiamo conosciuti non sarebbero più tornati, come è chiaro che le band non hanno una vita particolarmente longeva oggigiorno (vedasi Thegiornalisti). Eppure quando 20 100 di Mobrici attacca è evidente che ben poco è cambiato. La veste più alternative dei Canova resta indietro, si perde, si sfoca, ma, mi chiedo io: Mick Jagger in tuta, in smoking o in pigiama, resta sempre la più lucente delle rockstar, non trovate? C’è il Cremonini di Nessuno vuole essere Robin dentro questo brano, caldo e morbido, nudo e sognante. “Dimmi cosa devo fare, per farmi un attimo considerare?”, chiede Mobrici nell’esordio, il suo nuovo esordio. Risposta: nulla, semplicemente ciò che hai fatto.
Patiamo dalle premesse: la forza del dischi di Gazzelle è da sempre la scelta melodica delle linee vocali. A questo giro nessun brano tocca i livelli di Tutta la vita, Coprimi le spalle o dei classici Quella te e NMRPM. Anche le produzioni sono meno solenni e più catchy, ma lungi da me criticare uno dei producer più illuminati del bel Paese, Federico Nardelli, che comunque fa un ottimo lavoro e dà una veste nuova al progetto senza tuttavia stravolgerlo completamente. Arriva Coltellata, il brano con tha Supreme che in molti stavano aspettando (forse per criticare, forse per esaltare, una collaborazione tra mondi artistici distanti, quasi agli antipodi). Il risultato, anche qui, è molto buono, forse il punto più alto dopo Destri. Le voci si mescolano bene e non entrano mai in un conflitto melodico che potrebbe generare nell’ascoltatore paragoni di sorta. Altro brano degno di nota, che ricorda vagamente Where Is My Mind dei Pixies è GBTR, che lo stesso Gazzelle ha presentato in veste acustica pochi minuti prima della mezzanotte in una diretta Instagram dalla suggestiva e deserta Piazza del Popolo di Roma. Insomma, doveva essere l’album della consacrazione o del definitivo salto di qualità? Poco importa, soprattutto perché in definitiva mai titolo di un album fu più azzeccato e calzante: il nuovo disco di Gazzelle non è da “superbattito” e non è nemmeno “punk”. È solo “ok”.