L’associazione libera è, in ambito psicanalitico, la tecnica mediante la quale viene chiesto al paziente di riferire tutte le idee e le parole che gli si presentano alla mente a proposito di un argomento, un problema o una situazione. Se decidessimo di applicare tale verbalizzazione di pensieri – che gli strateghi del marketing chiamano brain storming – al regista hollywoodiano Steven Spielberg andremmo incontro ad un gigantesco pot-pourrì. Di lui si è infatti detto tutto e il contrario di tutto: bambino prodigio, la fortuna di Hollywood, grande narratore e visionario ma anche figlio prediletto dell’Academy, autore di lavori “poco impegnati”, commerciale e melenso. La verità? Come sempre, oggettiva ed univoca, non esiste, nel frattempo si faccia avanti chi non è cresciuto o abbia visto anche solo una volta la gran parte dei prossimi dieci film in lista, i migliori lavori – per noi – del regista originario di Cincinnati.
10. Hook-Capitan Uncino (1991)
La seconda commedia di Steven Spielberg – dopo lo scarso apprezzamento incontrato dal suo primo tentativo 1941 – Allarme a Hollywood – vede protagonista una fiaba senza tempo (Peter Pan) ed un cast di stelle: Robin Williams (Peter Banning/Peter Pan), Dustin Hoffman (Capitan Uncino) e Julia Roberts (Trilli). Peter Banning è un avvocato in carriera che trascura moglie e figli per il lavoro. Durante un viaggio a Londra però questi ultimi vengono rapiti dal terribile Capitan Uncino. Il rapimento permetterà al protagonista di conoscere il grande segreto della sua esistenza: lui è Peter Pan ma col tempo ha dimenticato di esserlo, limitandosi a vivere un’esistenza ordinaria. Ora però, grazie all’aiuto di Trilli, egli avrà la possibilità di esssere trasportato sull’isola che non c’è e salvare la sua prole. Il rapporto padre e figlio, la disgregazione della famiglia, la paura di morire crescendo, sono alcuni dei temi toccati con grande sensibilità in questa pellicola – per certi versi autobiografica – da Steven Spielberg. Post scriptum: se trovate ammirevole il cast del film, straordinaria vi apparirà la galassia di figure famose disseminate nei tanti camei che corrono lungo tutta la pellicola: dalle attrici Glenn Close e Gwyneth Paltrow, passando per il grande regista e amico intimo di Spielberg, George Lucas, fino ad arrivare ai musicisti David Crosby e Phil Collins.
9. Il colore viola (1985)
Perchè vuoi fare altro? Fu il commento sprezzante che molti rivolsero ad uno Spielberg fin lì reo di essersi confrontato solo con blockbuster o pellicole fiabesche. Il tempo e la lettura di questa lista mostreranno come però, alla lunga, tale scetticismo dei critici si rivelerà infondato e Steven Spielberg saprà abilmente affiancare il suo nome anche a pellicole considerate più impegnate e di denuncia sociale. Il colore viola è la pellicola del coraggio e del realismo, elementi che fino ad allora erano mancati al suo bagaglio cinematografico. È un film, prima ancora che sul razzismo – ambientato nella Georgia degli anni Venti in cui “the colored men” erano ancora “nigger” – che denuncia i molti terribili modi in cui la violenza maschile (bianca o nera che sia) si abbatte sul mondo femminile: violenza psicologica, domestica, abusi sessuali e perfino l’incesto, compaiono nella pellicola. Nel cast, incentrato su personaggi femminili, ed interamente composto da attori di colore, figurano tra gli altri la protagonista Whoopi Goldberg (Celie) e la celebre conduttrice televisiva Oprah Winfrey (Sofia). Una trasposizione efficace, dalle tinte forse un po’ troppo disneyane, rispetto alla durezza dell’omonimo romanzo – da premio Pulitzer – dell’attivista Alice Walker dal quale esso è tratto. Lontano dai cliché spielbergeriani è il film della maturità, come ebbe a dire il regista, che girò il film a quarant’anni compiuti.
8. The Terminal (2004)
Viktor Navorski (Tom Hanks) è un cittadino di un immaginario stato orientale chiamato Krakozhia intrappolato all’aeroporto John Fitzgerald Kennedy di New York per un fastidioso problema burocratico – come lo chiama più volte lui – con al seguito un misterioso barattolo di noccioline che custodisce gelosamente. È la storia di un uomo che si adatta a vivere in un non luogo, che per la maggior parte delle persone è solo un punto di passaggio, imparando l’inglese, facendosi accettare e stringendo delle relazioni con le persone che lavorano nell’aeroporto, finendo anche per innamorarsi della bella hostess Amelia Warren (Catherine Zeta-Jones). È una versione dolcemente romanzata di una storia vera, quella dell’iraniano Mehran Karimi Nasseri intrappolato nel Terminal 1 dell’Aeroporto Internazionale Charles de Gaulle di Parigi tra l’agosto del 1988 e il luglio del 2006. Una pellicola romantica che sembra in certi momente quasi strizzare l’occhio al maestro della commedia sentimentale Woody Allen.
7. E.T. l’extraterrestre (1982)
Dopo aver già esplorato una pacifica invasione di omini dello spazio con Incontri ravvicinati del terzo tipo, il regista di Cincinnati ci propone il bis con E.T., un piccolo alieno abbandonato frettolosamente sulla Terra dai suoi simili, capace di ripetere sempre e solo una frase. Trovato nel capanno degli attrezzi della propria casa dal giovane Elliott (Henry Thomas), tra il bambino e l’alieno nascerà una potente amicizia. Elliott con l’aiuto del fratello maggiore (Robert MacNaughton) e della sorellina (Drew Barrymore) tenterà prima di tenere segreto il nuovo arrivato poi cercherà, dispertamente, di aiutare l’amico extraterrestre a tornare a casa. Un’impresa la cui tenerezza tenne una quantità inimmaginabile di pubblico incollata alle poltrone dei cinema. Un successo tale che i critici definirono subito la pellicola come un classico. Un film magico, come lo è l’iconica scena del volo di Elliott ed E.T. in bicicletta, con una gigantesca Luna sullo sfondo, la scena più magica mai realizzata, secondo la rivista Empire.
6. Salvate il soldato Ryan (1998)
Una madre riceve la visita di alcuni soldati che le annunciano la perdita dei suoi tre figli, il quarto, il paracadutista Ryan (Matt Damon), è scomparso in azione. L’esercito americano affiderà al battaglione guidato dal capitano John H. Miller (Tom Hanks) il compito di scovare e riportare a casa, ad ogni costo, l’unico figlio che si spera sia sopravvissuto. Sono i giorni tumultuosi dello sbarco alleato sulle coste della Normandia, l’acme della guerra. La drammaticità di quello sbarco è resa magistralmente dal lungo piano sequenza iniziale che vale, da solo, tutto il film e ripresa, in seguito, anche da celebri videogames sparatutto quali Medal of Honour e Call of Duty. Una nave blindata ondeggia pesantemente dirigendosi verso una Omaha Beach gremita di tedeschi. Il cassone dell’imbarcazione si apre e comincia l’inferno. I battaglioni vengono falciati a frotte dalle mitragliatrici. Il sibilo dei proiettili, lo sciabordio delle onde, le detonazioni delle bombe, le grida dei soldati creano un’atmosfera straniante e disorientante per lo spettatore, chiamato ad essere protagonista del D-day in prima persona. «L’ho fatto per papà» – un ex soldato – dirà dolcemente Spielberg riferendosi alla pellicola, figura con la quale il regista ha avuto per lungo tempo un rapporto difficile.
5. Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977)
È la pellicola che garantisce a Spielberg l’etichetta di grande regista dopo il sorprendente e fragoroso successo ottenuto, solo due anni prima, con Lo squalo, film dal quale recupererà il protagonista della nuova pellicola, Richard Dreyfus. Incontri ravvicinati del terzo tipo segna il primo incontro di Spielberg con la fantascenza, facendo conoscere al mondo intero anche il suo straordinario talento come narratore di fiabe moderne. Spielberg ci offre la visione di un ipotetico incontro tra la razza umana ed una extraterrestre presso il bizzarro massiccio roccioso di forma conica (spuntata) detto Torre del Diavolo (in Wyoming). Differenziandosi dalla consuetudine, il regista legge però tale incontro attraverso un’inedita chiave ottimistica. Se mai avverrà, tale contatto sarà infatti del tutto pacifico. Affascinante è anche la lingua prescelta dal regista per il confronto con l’alieno: la musica. Una delle forme d’arte e di espressione piu transnazionali che si conoscano, la cui forza espressiva travalica barriere linguistiche, etniche e culturali terrestri e potrebbe, secondo Steven, abbattere anche quelle che separano noi e lontani universi.
4. I predatori dell’arca perduta (1981)
Dopo la debacle di 1941 – Allarme a Hollywood, Spielberg aveva intenzione di riscattarsi facendo un film alla 007. In suo soccorso arrivò l’amico George Lucas che gli propose qualcosa di meglio di James Bond. Quel qualcosa era il personaggio Henry Walton Jones Jr, per tutti Indiana Jones, un archeologo in giacca di pelle, borsalino in testa e una frusta come arma, che sembrava uscire da un film d’avventura degli anni Trenta. La sceneggiatura del padre della saga di Star Wars e la regia di Spielberg fecero, già del primo dei quattro capitoli della serie, un successo mondiale di critica e di pubblico anche grazie alla recitazione di Harrison Ford, fino ad allora conosciuto perlopiù come Ian Solo, capitano del Millennium Falcon. Nel film capostipite Indiana Jones è impegnato a contendere ai nazisti il recupero della celeberrima Arca dell’Alleanza in un’avventura che porterà l’esuberante archeologo a vagare tra America, Asia, Africa ed Europa.
3. Jurassic Park (1993)
Voglio dei dinosauri alti 8-9 metri in grado di correre, è possibile? Se fino al giorno prima la risposta sarebbe stata no, quella volta a Steven dissero di sì. Come? Non certo creando pupazzi di quelle stazze (per loro correre sarebbe stato impossibile) o estraendo il DNA dei grandi rettili da una zanzara giurassica intrappolata nell’ambra (come suggerisce il film), bensì ricorrendo alla computer grafica. Jurassic Park segna infatti una frattura nella storia del cinema: l’inizio dell’era digitale, un’innovazione, per molti, seconda solo a quella del sonoro. Nessuno aveva sperimentato prima la computer grafica (per la precisione CGI) in un film di quel livello e, pronti, via, fu subito apoteosi. Jurassic Park divenne il film di maggiore incasso nella storia del cinema, record che rimarrà tale fino all’uscita nelle sale di Titanic (1997). Il resto lo fanno la bella trama tratta dall’omonimo capolavoro letterario di Micheal Crichton, le straordinarie musiche del compositore di fiducia John Williams e la presenza nel cast di attori come Jeff Goldblum, Laura Dern e Sam Neil. Jurassic Park è il paradigma del cinema secondo Spielberg, l’esempio piu alto di come la tecnologia e la sperimentazione tecnologica non sono, per lui, un esercizio di mero virtuosismo che finisce per annicchilire e schiacciare la storia ma sono, al contrario, sempre concepite al suo servizio, per meglio trasmettere la magia dei suoi lavori allo spettatore.
2. Lo squalo (1975)
È il film che, a 30 anni, cambia per sempre la carriera di Steven Spielberg facendolo conoscere al mondo intero. Dopo aver girato i meno noti Duel e Sugarland Express con Lo squalo Spielberg sbanca inaspettatamente i botteghini nonostante il suo squalo-robot (star della pellicola) – lungo tutti i cinque mesi di riprese – proprio non si decidesse a funzionare, mettendo sotto grande pressione il giovane regista e la sua troupe, costretta a rigirare continuamente le molte scene in mare aperto. Il film riuscì, nonostante i molti problemi tecnici, a generare una vera psicosi popolare verso il piu’ famoso carnivoro degli oceani. Come ci riuscì? Grazie al magistrale motivetto (composto da due sole note) di John Williams, leitmotiv di ogni pericolo imminente, e ad alcuni abili stratagemmi come quello di mostrare il difettoso squalo meccanico per il minor tempo possibile sullo schermo. In una delle sequenze piu celebri della pellicola, ad esempio, solo dei barili che riaffiorano dall’acqua indicano l’inesorabile avvicinamento dello squalo killer all’imbarcazione l’Orca con a bordo i protagonisti della pelicola Martin (Roy Scheider), Quint (Robert Shaw) e Matt (Richard Dreyfuss). Questi ed altri espedienti impiegati anziché nuocere al film finirono paradossalmente per incrementare il livello di suspense delle sue scene fornendo un tono hitchcockiano alla pellicola.
1. Schindler’s List (1993)
Non è solo un altro film di Spielberg o il film che gli consegna il suo primo Oscar per la miglior regia (il secondo arriverà con Salvate il soldato Ryan), è piuttosto un’opera sacra, la storia della sua famiglia e del suo popolo: il lavoro che riavvicina il regista a tutti quei valori ebraici da cui da giovane era fuggito per il disperato bisogno e desiderio di integrarsi con gli altri. Per la sua realizzazione rinuncia ad ogni trucco cinematografico, buttando dalla finestra tutti gli arnesi che aveva usato nei precedenti film: c’è spazio solo per le cineprese a mano, i pigiami a righe, il filo spinato, gli incattiviti pastori alsaziani. Anche ai tre favolosi attori protagonisti della pellicola Liam Neeson (Oskar Schindler) Ralph Fiennes (Amon Goeth) e Ben Kingsley (Itzhak Stern) fu chiesto di abbandonare, nella loro recitazione, ogni forma di sentimentalismo che avrebbe solo finito per produrre una banalizzazione della storia. È la pellicola del colore, il bianco e nero che domina il racconto, sospeso tra lo spegnimento (incipit) e l’accensione (finale) di due candele e il rosso sgargiante di una bambina – simbolo del momento in cui il mondo ha chiuso gli occhi sull’Olocausto e il processo industrializzato dell’omicidio di massa – che prima vaga inconsapevole per Cracovia durante il rastrellamento del suo ghetto e poi riappare durante la riesumazione delle vittime della soluzione finale. Per me il simbolo della vita è il colore – affermò Spielberg – l’Olocausto fu vita senza luce, per questo un film che parla dell’Olocausto non può far altro che essere in bianco e nero.