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Smashing Pumpkins: «Non siamo quel tipo di band che resta ancorata al passato»

Utqiaġvik è una città dell’Alaska molto particolare. È particolare perché ogni anno, il 18 novembre, calano le tenebre fino al successivo 23 gennaio. Quando penso agli Smashing Pumpkins e alla loro gloriosa carriera, il primo pensiero va subito a Utqiaġvik e ai suoi abitanti. Perché è evidente che lo storico burrascoso della band e la mente dell’istrionico Billy Corgan fanno sempre pensare ad un imminente tramonto fino a data da destinarsi che lascerebbe al buio tutti gli abitanti dell’Universo Pumpkins. Eppure “le zucche che spaccano” non hanno alcuna intenzione di guardare indietro e compiacersi per i risultati conseguiti; vogliono anzi cambiare rotta e concentrarsi sul presente, provando a fare la differenza, di nuovo. Singolare, specie per una band divenuta famosa nel 1996 per aver scritto un brano che si intitolava 1979.

«La direzione stilistica è qualcosa a cui abbiamo pensato prima ancora di iniziare a lavorarci – mi dicono in collegamento Zoom da Los Angeles parlando del nuovo album, Cyr, in uscita oggi – In un primo momento abbiamo lavorato molto in fretta, molto a sentimento. Piuttosto che basarci solo sullo stile tradizionale del gruppo, abbiamo fatto sì che le prime canzoni uscite fuori dettassero la tipologia delle altre che sarebbero venute. Volevamo che questo album fosse un passo nel presente e che non rimanesse solo nel passato». Certo, se si conosce davvero la storia degli Smashing Pumpkins e si ascoltano attentamente le canzoni passate, è facile comprendere che Cyr non è poi così distante da quello che sono stati: «Non si tratta di un cambiamento radicale quanto piuttosto di un focus su una certa tipologia di temi e di stili».

Cyr è il primo disco Smashing Pumpkins nella formazione originale in vent’anni. Insomma, una sorta di rinascita.
Volevamo creare qualcosa che facesse capire che siamo una band attiva e dedita alla creazione di nuova musica. Con questo disco vogliamo lanciare il messaggio che gli Smashing Pumpkins non sono quel tipo di gruppo che si limita all’esecuzione dal vivo dei cavalli di battaglia, dei brani storici che mettono tutti d’accordo. Ora che ci penso credo sia proprio questo il punto alla base di Cyr.

Un’evoluzione quindi.
Esattamente. Ad essere onesti, il modo in cui lavoriamo in studio crediamo rifletta molto la bellezza e il sound degli Smashing Pumpkins, a prescindere dallo stile di post-produzione.

A proposito di cambiamento: tra pandemia ed elezioni presidenziali l’America sta vivendo con coraggio un momento in cui le scelte possono fare la differenza. Come state vivendo questi mesi?
Sono tempi difficili per tutti, più di quanto non si creda. È qualcosa di nuovo e nessuno sa davvero cosa accadrà o come comportarsi. La gente non sta soffrendo solo economicamente, ma anche spiritualmente, emotivamente, psicologicamente. Però a volte nella sofferenza si trova anche l’illuminazione, la crescita.

Questo processo di autoanalisi e di illuminazione avviene anche attraverso la musica?
L’arte è ciò che permettano di vedere anche la peggiore distopia come se fosse utopica. Però non in una maniera ingenuamente ottimista. La cultura si muove più velocemente della politica, ecco perché un artista è fortunatamente più libero e svincolato.

Come funziona l’algoritmo di scrittura dei brani degli Smashing Pumpkins?
In questo album i testi sono stati scritti molto in fretta, quasi in maniera estemporanea, quindi non ci sono state molte discussioni di gruppo a riguardo. Crediamo siano dei testi molto poetici e introspettivi. Per comprenderlo si deve davvero entrare dentro e capire a pieno le metafore e le allegorie contenute.

Qual è stato il momento migliore della produzione del disco?
Quando si registra un disco la parte più soddisfacente arriva verso la fine, quando vedi tutto il lavoro cominciare a prendere forma. A differenza dell’EP pubblicato nel 2018, questo ha richiesto davvero molto tempo, sia nel processo compositivo che in quello di scrematura. È stato un po’ come dipingere una tela, più vai avanti, più prende forma e più è difficile prendere decisioni.

Un po’ come se fosse un progetto che detta da solo i propri tempi.
Esatto, specie perché una registrazione non è mai realmente finita. Anche quando decidi che è finita, lo decidi perché il mondo ha le sue scadenze. Persino nell’esibirsi live la canzone cambia, cresce. Da sempre vediamo la musica non come un qualcosa di statico, ma come un essere vivo, mutevole, capisci? Quando suoni una canzone scritta vent’anni fa, la devi suonare in una prospettiva presente.

Sono d’accordo, d’altronde 1979 ha avuto almeno una decina di vite. La vostra musica ha rappresentato per almeno un decennio la società statunitense. Credete che Cyr possa essere la colonna sonora di questo momento storico?
Ma sai, questo non è un album politico, non tratta specificatamente il contemporaneo, ma ascoltando bene le parole dei brani, si possono cogliere le metafore contenute che sono molto rappresentative di questo periodo. Siamo essere umani e non riusciamo a scindere noi stessi nella nostra musica da ciò che viviamo giorno per giorno. Non siamo soliti fare dichiarazioni dirette, ma la musica, l’estetica, tutto rappresenta secondo noi quello che succede.

Volente o meno, la musica finisce sempre per rappresentare come e cosa vivi.
Ed è uno dei motivi per cui ero così attratto da questa band prima ancora di farne parte (a parlare è Jeff Schroeder ndr.). Gli Smashing Pumpkins offrono una totalità di emozioni, di sensazioni e di vissuto. Da una musica più dolce a una più aggressiva a una ancora più malinconica. Credo siano la perfetta rappresentazione dell’animo umano. Se fai un viaggio dentro la musica della band, fai un viaggio all’interno di un gigantesco range di emozioni.

Cosa ne pensate dei concerti in streaming?
Siamo aperti alla possibilità di esibirci virtualmente, non siamo contro. I Kiss, ad esempio, hanno programmato per Capodanno un live streaming da Dubai ed è assurda la quantità di soldi che smuoveranno. Noi però non stiamo cercando qualcosa di così grandioso, di così epico. Dobbiamo solo trovare l’occasione giusta.

Negli ultimi anni si è parlato molto della morte della chitarra elettrica. Credete di appartenere ad una sorta di epoca finita?
La chitarra elettrica e il suo uso sono cambiati. Ha degli aspetti così raffinati e tecnici che forse è troppo difficile per essere capita da tutti, dalle masse. La musica tende ad essere troppo complessa a volte. C’erano tempi nella musica in cui la chitarra elettrica riusciva bene ad inserirsi nella musica pop, specialmente negli Stati Uniti. Prendi Micheal Jackson. Al momento forse non è più così.

A proposito di chitarre, so che Eddie Van Halen vi ha regalato una EVH Wolfgang qualche anno fa.
A volte devo darmi un pizzicotto perché non ci credo (a parlare è Jeff Schroeder ndr.). Era davvero una persona eccezionale, disponibile, generosa.

Cosa ne pensate dell’alternative rock in questa nuova generazione musicale?
Nel 2020 dovrebbe essere tutto purché ciò che era in passato. Il nuovo alternative rock dovrebbe riflettere le influenze e i sound di questo periodo, piuttosto che replicare il passato.


Mediazione e traduzione di Cecilia Fefè
Contributo di Emanuele Camilli
Foto di Jonathan Weiner
Digital Cover di Jadeite Studio