Da bambino mi divertivo molto a giocare con mia madre a scacchi. Ero affascinato dalle forme dei pezzi, i movimenti che essi facevano e dalla complessità di quello che stavo facendo. Crescendo ho capito che in realtà le nostre erano solo delle partite sbagliate, senza una vera conoscenza del regolamento e senza nessun tipo di strategia alle spalle. E La regina degli scacchi, la nuova serie targata Netflix, me l’ha (ri)confermato. Il titolo originale, The Queen’s Gambit, sarebbe stato sicuramente più appropriato per rappresentare bene cosa vuole raccontare questa storia. Il gambetto di donna è una delle aperture più antiche e più popolari tra i gran maestri di scacchi ed è perfetto per sviluppare le mosse della Donna, il pezzo più potente tra gli scacchi. La Donna è anche l’unico soggetto femminile sulla scacchiera, ma riesce a prevalere in uno scenario prettamente maschile proprio come la protagonista della serie, Beth Armond, interpretata da Anya Taylor-Joy.
Beth è una ragazza che perde i genitori da bambina e viene affidata ad un orfanotrofio dove conosce un anziano custode che le insegna come giocare a scacchi. Si dimostra da subito una bambina prodigio e, una volta adottata da una famiglia problematica, inizia a partecipare ai primi tornei dove straccerà tutti i suoi avversari uomini. Il successo porterà Beth a confrontarsi con le sue prime esperienze amorose, i primi insuccessi, ma soprattutto con la dipendenza da pillole e alcol. In questa miniserie composta solo da sette episodi troviamo davvero tanto materiale interessante che la rendono un maestoso gioiello all’interno di un catalogo di Netflix sempre più orientato verso i teen drama. Innanzitutto l’interpretazione della Taylor-Joy è magistrale e riesce a rendere il suo personaggio sensuale, intrigante, maledetto ma allo stesso tempo confuso e malinconico. Lei è la vera Donna che si muove sulla scacchiera della vita sfruttando (o dovremmo dire “mangiando”) i Pedoni che man mano incontra, come Harry Beltik (Harry Melling) e il campione Banny Watts (Thomas Brodie-Sangster), che alla fine però, da bravi soldati, saranno fondamentali per affrontare il Re, ovvero il campione russo Vasily Borgov.
La Regina degli scacchi è soprattutto uno spaccato sociale critico della società degli anni Sessanta negli Stati Uniti. Temi fondamentali sono l’emancipazione femminile di una ragazza che deve confrontarsi con un mondo, quello degli scacchi, in cui nessuna donna aveva mai osato sfidare i grandi campioni, ma anche l’uso sconsiderato di psicofarmaci che in quel periodo veniva fatto negli Stati Uniti, tanto da provocare in Beth una forte dipendenza fin da bambina. È interessante anche come è trattato il tema della genialità: Beth è nata con un dono o sono le pillole che l’aiutano ad avere un’elasticità mentale così forte?
Al pari della grande interpretazione di Anya Taylor-Joy e alle tematiche sociali ben trattate, bisogna fare un plauso anche alla rappresentazione tecnica delle partite di scacchi. È incredibile come un gioco tendenzialmente definito come noioso, riesce in questa serie ad avere un ritmo e un impatto visivo trascinante, tanto da rendere le scene delle partite tra i vari campioni davvero indimenticabili. Il tutto è ancora più interessante se pensiamo che tutto ciò ha una reale valenza tattica, poiché le partite sono tutte verosimili e revisionate addirittura dall’ex campione del mondo Garry Kasparov. La Regina degli Scacchi è una miniserie che non può essere tralasciata e che in poche puntate riesce a mescolare tanti generi, dal cinema in costume al dramma sportivo, riuscendo nell’arduo compito di fare scacco matto nei cuori degli spettatoti.